NUORO – L’isola di Arbe (Rab), località della Croazia, oggi è una destinazione turistica molto popolare. Pochi però conoscono la triste storia dell’ex campo di concentramento che lì era ubicato. Per questo un gruppo di storici si è impegnato per mantenere viva la memoria di quanto accaduto in quei luoghi, affinché si prenda coscienza di ciò che gli internati civili sloveni e croati, reclusi nel campo, hanno patito e dovuto subire.
I campi di concentramento italiani della Seconda guerra mondiale non avevano forni crematori, non erano stati pensati per sterminare gli internati: nei campi di concentramento del Regio esercito italiano si moriva a causa della fame e delle malattie. Nei documenti ufficiali una delle principali cause di morte indicate è la “cachessia” , una sindrome da deperimento, una perdita di massa corporea che non può essere eliminata con il nutrimento.
Herman Janež oggi ha 87 anni e vive in Slovenia. Ha dedicato la sua vita allo studio della storia del campo di Arbe. Era un bambino quando, nel 1942, le truppe fasciste italiane bruciarono il villaggio di Stari Kot in Slovenia e deportarono lui e tutta la sua famiglia nel campo di concentramento di Kampor costruito dal regime fascista sull’isola di Arbe in Croazia. La struttura di Arbe venne creata dal comando della Seconda Armata italiana ed ospitò tra i 10.000 e 15.000 internati tra sloveni, croati ed ebrei. Fu il campo di concentramento italiano per slavi più esteso e popolato, e nel dicembre del 1942 si stima che arrivò ad ospitare 21.000 internati.
Il campo si distinse per la durezza del trattamento riservato agli internati slavi, molti dei quali morirono di stenti e malattie. Herman Janež il 16 luglio 1942 compì sette anni e con 7 suoi coetanei finì a Rab. Rimase lì con la sua famiglia per 4 lunghi mesi, successivamente vennero trasferiti nel campo di concentramento di Gonars, nel nord-est Italia, dove rimasero altri dieci mesi. Dopo la Seconda guerra mondiale Herman è tornato più volte, circa 70, sull’isola di Arbe per indagare e cercare documenti. Janež ricorda di aver patito soprattutto la fame e la sete. Era già tanto se veniva distribuita una miserrima manciata di riso. Nel campo inoltre mancava l’acqua, sebbene sull’isola ci fossero circa 376 sorgenti di acqua naturale.
Prima che venissero costruite le baracche in legno gli internati dormivano in tende e quando pioveva l’acqua penetrava all’interno costringendo i detenuti a stare fradici in mezzo alla fanghiglia. Uomini, donne, bambini, giovani e anziani, quasi tutti sloveni e croati, internati dagli italiani in quanto partigiani, parenti di partigiani, abitanti di villaggi accusati di dare sostegno ai partigiani, abitanti di villaggi distrutti e dati alle fiamme finirono ad Arbe. Inizialmente le donne internate nel campo furono costrette a partorire nelle tende, in condizioni igienico-sanitarie assai precarie. Solo in un secondo momento un albergo situato nelle vicinanze del campo venne trasformato in un ospedale improvvisato. In quel periodo nacquero circa 55 bambini, purtroppo ne sopravvissero solo otto, nove al massimo.
Il lager di Arbe era composto da un “campo maschile” e un “campo femminile” dove risiedevano donne, bambini e anziani; nella primavera del 1943, venne allestito anche un “campo ebreo”. Oltre 3.500 ebrei, sfuggiti agli ustascia croati, un movimento nazionalista e clerico-fascista croato di estrema destra, creato nel 1929 e guidato da Ante Pavelić, alleato di nazisti tedeschi e fascisti italiani, che si opponeva al Regno di Jugoslavia a predominio serbo, quando furono internati dal Regio Esercito italiano nel campo di Kampor evitarono grazie a questo la deportazione. Nel campo, accanto alle baracche dove morivano di stenti i civili jugoslavi, venne quindi creato un campo speciale per ebrei, profughi provenienti da tutta Europa, vittime delle persecuzioni naziste, rinchiusi ad Arbe col preciso scopo di sottrarli allo sterminio.
E mentre le autorità cercavano in tutti i modi di salvare queste vittime innocenti, nel lager gli slavi morivano di fame. Il cinico generale Gambara, all’epoca, era solito affermare: “Campo di concentramento non significa campo di ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo”. Ma come è possibile che un uomo possa diventare una bestia, un animale, e comportarsi in quel modo nei confronti di un altro uomo, nei confronti dei bambini? Quando Herman Janež fu rinchiuso, venne separato da suo padre internato nel campo maschile, mentre lui venne rinchiuso nella sezione destinata ai bambini. Nel lager di Arbe morirono il padre, il nonno e anche la madre: “Tutto ciò che contava per me è rimasto ad Arbe”.
Ci sono molti documenti che suggeriscono quanto i generali italiani fossero a conoscenza delle condizioni di vita all’interno del lager, ma non fecero nulla. La propaganda antislava era diffusa in Italia anche prima dell’arrivo di Mussolini al potere nel 1922. Questi, in un discorso tenuto a Pola nel 1920, definì la razza slava come “una razza inferiore e barbara”. Perciò i fascisti crearono numerosi campi di concentramento lungo la costa adriatica orientale allo scopo di contrastare il sostegno fornito dalla popolazione slovena e croata ai partigiani guidati da Tito. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 il campo fu temporaneamente occupato dalle forze partigiane di Tito e molti degli internati ebrei che furono liberati raggiunsero la terraferma, coloro che erano troppo deboli per fuggire dal campo o per unirsi ai partigiani vennero catturati e deportati ad Auschwitz. Circa 240 giovani furono radunati in un battaglione ebraico che combatté nell’EPLJ contro l’Asse. Circa 200 persone rimasero sull’isola e furono catturate dai tedeschi durante la successiva occupazione nazista e circa 200 persone raggiunsero via mare l’Italia.
Il comandante del campo, colonnello Vincenzo Cujuli, rimase di presidio per collaborare con i partigiani jugoslavi ma, catturato da questi, secondo alcune fonti venne seviziato e ucciso, secondo altre morì suicida durante la prigionia. Dopo la resa dell’Italia fascista, le guardie e i soldati italiani lasciarono l’isola di Arbe. Il campo fu liberato ottanta anni fa, nei giorni immediatamente successivi all’Armistizio, dalle truppe partigiane con l’aiuto dei partigiani internati che, dopo una breve trattativa, disarmarono le guardie e presero il controllo del campo. Fu l’epilogo del peggior campo di concentramento italiano della Seconda guerra mondiale che nei soli 14 mesi in cui rimase in funzione portò alla morte quasi 1500 persone.
L’aspetto più penoso è che dal 1945 ad oggi nessun rappresentante dello Stato italiano è mai andato in visita al campo di Arbe e nessuna parola di scusa è mai stata pronunciata in forma istituzionale per quanto accaduto sull’isola di Arbe.
Virginia Mariane
Nell’immagine di copertina, il Memoriale di Kampor sull’isola di Arbe costruito su progetto dell’architetto Edvard Ravnikar e inaugurato nel 1953
Lascia un commento