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A tavola con lo zimino, piatto povero e gustoso

di | 2022-07-09T14:45:29+02:00 10-7-2022 6:05|Enogastronomia, Sezione 2|0 Commenti

SASSARI – Ogni città è ricordata per qualcosa che la caratterizza e rende unica. Roma ha il Colosseo ma anche i maritozzi, la cacio e pepe, la carbonara; Napoli ha la sua prelibatissima pizza, Bologna i tortellini e la mortadella. A Sassari c’è lo zimino, uno degli street food più popolari che si possano trovare in Italia. In alcune località (Porto Torres, ad esempio) è considerato un inno alla libertà del popolo sardo, un piatto tipico della cucina sassarese ma anche uno stile di vita che favorisce inclusione e vicinanza, allegria, risate e il piacere della buona tavola.

Qualcuno azzarda a dire che lo zimino per i sassaresi è “una vera e propria religione, un credo, un valore intoccabile, un fondamento dell’etica”. Lo zimino è un piatto tipico di Sassari, in passato caratterizzata dalle attività commerciali ed agricole ortive. Nelle pianure che circondavano la città si coltivavano melanzane, pomodori, carciofi, rucola e cavoli, nell’hinterland si praticava la pastorizia. I residenti non avevano a disposizione i tagli pregiati delle carni, per cui dovevano accontentarsi dei pezzi meno nobili, e dovevano lasciare le parti migliori ai possidenti ed allevatori dei paesi del circondario o ai “signori” che vivevano in città.

L’origine della parola zimino è incerta. Alcuni ipotizzano derivi da cumino, che in realtà non viene usato in questa preparazione e non è neanche una spezia largamente adoperata nella cucina italiana. L’origine più probabile della parola “zimino” sembra derivare dall’arabo “zamin” o “zamir” che significa “denso e oleoso”, così com’è infatti lo zimino, più simile ad una zuppa che ad una salsa e ricorda la preparazione in uso in Liguria e Toscana, piuttosto che quella sarda. Altri sostengono che il termine prenda il nome da una parola del dialetto genovese: “azimin” che significa “non condito” e si rifà al greco “azymos” senza lievito. Il termine zimino, in sassarese “ziminu”, indica un insieme di frattaglie d’agnello o di bovino, tra cui primeggiano il diaframma (parasangu), i “riccioli” o intestino (isthintinu), il retto (cannaguru), ma anche il cuore (cori), il rognone (rugnoni), la milza (ippiena). Tra tutti, però, il pezzo più prelibato è il primuratti, cioè il timo (le animelle).

La preparazione dello zimino è diffusa in tante regioni italiane, soprattutto in Liguria, Toscana oltre che in Sardegna, e prevede di cuocere l’ingrediente di base come pesce, carne o legumi in una salsa brodosa a base di pomodoro, verdure, come bieta o spinaci, e olio d’oliva. A Sassari lo zimino nasce come esaltazione delle parti meno nobili delle bestie, grazie alla presenza di un mattatoio nella città che in passato consentiva l’approvvigionamento della materia prima fresca. L’attività di preparazione dello zimino, o di incontrarsi in gruppi di persone per consumarlo, viene chiamata “ziminadda”. È una tradizione celebrata in particolare nelle campagne e negli oliveti, in primavera ed estate, quando le compagnie di giovani, dette in sassarese “greffe”, si incontrano in un’abitazione rurale, una casa di campagna, un ovile e, durante la serata, si dedicano a questo rito. Le interiora vengono tagliate e adagiate sulla “grabiglia”, la graticola, per essere cotte alla brace, e la gente beve, ride e canta al suono dello sfrigolio delle carni.

Una volta ben cotta (essendo il piatto costituito da interiora è meglio non presentarlo al sangue), la carne viene tagliata a pezzettini con le forbici e mangiata con le mani. Lo zimino non richiede nessun condimento. La carne si arricchisce solamente di un pizzico di sale e di pepe a fine cottura. Solitamente viene servito assieme ad altre carni alla griglia come costine di maiale, salsicce, tattareu (cioè l’intreccio di coratella e fettine di cavallo). Non mancano mai verdure fresche crude come finocchi, pomodori, lattuga, sedano, o grigliate come carciofi sardi, cipollotti, peperoni o melanzane lasciati cuocere a lungo accanto ai pezzi dello zimino. Ogni “ziminadda” è accompagnata dall’immancabile Cannonau di Sorso e Sennori e da altri vini rossi corposi.

In alcune località della nostra isola, se prendiamo come esempio la cittadina di Alghero, con il termine zimino si intende una zuppa di pescetti, cioè un insieme di pesci di poco costo e poco valore, cucinati prevalentemente bolliti e arricchiti di vari condimenti. Ma ad un abitante di Sassari, città dei gremi e dei candelieri, parlando di zimino non verrebbe mai in mente il pesce ma solo ed esclusivamente carne arrostita alla brace. In altre parti della Sardegna come a Bulzi, piccolo centro dell’Anglona, per ziminu si intende la cottura in casseruola delle frattaglie di agnello o di capretto, immerse in una salsa di pomodoro in agrodolce. È molto raro, nella cucina sarda, l’utilizzo e il consumo delle interiora di vitello, essendo i bovini prevalentemente allevati per la produzione di latte, o degli animali da traino e da lavoro. Fin dal suo esordio nella cucina sassarese lo zimino ebbe un successo tale che i sassaresi pare amassero consumarlo anche il venerdì, suscitando le ire della Chiesa.

Per gli amanti di questo piatto agropastorale esiste addirittura un’Accademiache ha emanato perfino un Decalogo dello Zimino e della Ziminadda alla sassarese, per rendicontare, per iscritto, quanto fino a oggi è stato tramandato oralmente. Con lo scandalo scoppiato intorno al 2000 in tutta Europa dopo i primi casi di “mucca pazza”, alcuni provvedimenti legislativi comunitari hanno vietato la vendita ed il consumo di zimino. Durante la macellazione, il veterinario addetto al controllo nei mattatoi, aveva il compito di “imbrattare” l’intestino del bovino con una particolare sostanza per renderlo addirittura non commestibile. Questo per diverso tempo ha generato diverse polemiche e favorito persino il mercato clandestino delle frattaglie.

Finalmente il divieto imposto in passato è stato tolto favorendo nuovamente la circolazione delle interiora e il loro utilizzo nelle cucine locali per di più abbattendo notevolmente i costi di macellazione e di produzione di insaccati, visto che durante il divieto per rifornirsi del budello necessario si era costretti a rivolgersi all’estero. Togliere lo zimino equivale ad eliminare una componente importante della storia gastronomica del popolo sardo. A Sassari e dintorni, quando si ha voglia di “braciare”, di riunirsi in comitiva per uno “spuntino” spesso si sente dire così: “A zi la femmu una bedda ziminata?”, ossia ce la facciamo una bella mangiata di frattaglie cotte alla brace sulla graticola? E per chi visita Sassari d’estate ci sono sempre delle sagre dove poter assaggiare questa specialità spesso accompagnata da altre carni grigliate come le costine di maiale, “su tattareu”, l’intreccio di coratella, le salsicce, le fettine di cavallo con contorno di verdure crude o cotte e fiumi di Cannonau, il vitigno a bacca nera più diffuso in Sardegna.

Virginia Mariane

Amante del buon cibo, di un libro, della storia, dell’archeologia, dei viaggi e della musica

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