SPOLETO (Perugia) – E’ conosciuto più dagli stranieri, inglesi soprattutto, che dagli italiani l’antico affresco della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo di Spoleto, consacrata nel 1174, in pieno centro storico (nella vaita o rione – ne esistevano dodici – Filittèria occupato in gran parte da bizantini), pittura che avrebbe, tra l’altro, necessità di un attento restauro. Il dipinto rappresenta un episodio sconvolgente, avvenuto nel dicembre del 1170, nella cattedrale di Canterbury. Un luogo sacro macchiato col sangue di un vescovo: episodio con notevoli analogie all’omicidio, avvenuto giusto quaranta anni or sono in San Salvador, dell’arcivescovo metropolita Oscar Romero, ucciso sull’altare a colpi d’arma da fuoco e fatto santo.
A Canterbury quattro cavalieri, entrati nel tempio nel corso della celebrazione eucaristica e che avrebbero agito su mandato del re d’Inghilterra Enrico II o per aver frainteso le parole e i sentimenti del sovrano (la frase, forse apocrifa, sarebbe suonata così: “Chi mi libererà di questi preti turbolenti?”), lo infilzarono crudelmente, più volte, a colpi di spada spargendo il sangue in luogo sacro. In questo modo crudele e sacrilego il 29 dicembre i sicari stroncarono la vita di Thomas Becket (1118-1170), già cancelliere dello stesso re che, all’epoca del servizio prestato a corte, lo apprezzava e stimava e che addirittura lo aveva spinto ad accettare il primaziato di Canterbury, cioè il ruolo di massima autorità spirituale della Chiesa anglicana. Una volta vescovo (1162) Becket aveva, però, rivendicato e difeso energicamente il principio che il clero fosse esentato dalla giurisdizione politica e per questo era entrato in odio al sovrano, tanto da essere costretto a fuggire in Francia (1164) dove rimase fino al 1170, quando Enrico II lo indusse a credere, dopo un incontro a Freteval in Normandia, nella più completa riappacificazione.
In pochi giorni di quel mese di dicembre – era sbarcato il giorno 2 – Thomas Becket si rese conto di essere finito in trappola e a Natale, nell’omelia, parlò del proprio martirio. Facile profezia. I sicari erano già pronti ed entrarono in azione prima della fine dell’anno. Canonizzato nel 1173 da Alessandro III (che lo proclamò santo e martire), Becket godette di enorme fama in un’epoca in cui il potere temporale e quello spirituale vivevano in continuo conflitto. L’affresco spoletino è testimonianza diretta e inconfutabile di queste tensioni ed è una delle rare e prime iconografie del sanguinoso delitto sacrilego, che siano state prodotte in Italia.
Sull’episodio, non solo all’epoca, ma pure nei secoli seguenti e persino nel Novecento hanno scritto molti autori. I più famosi Thomas Stearns Eliot (Assassinio nella cattedrale) e Jean Anouilh (Becket o l’onore di Dio). Anche Ken Follett tratta dell’agghiacciante attentato nel suo “I pilastri della terra”. Ovviamente la cinematografia non poteva mancare e si è interessata del caso con “Becket e il suo re” (con attori quali Peter ‘O Toole e Richard Burton) e con “Assassinio nella cattedrale” (su sceneggiatura dello stesso Eliot). Il compositore Ildebrando Pizzetti dal brutale ed empio martirio del primate d’Inghilterra trasse l’ispirazione per la tragedia in musica “Assassinio nella cattedrale”.
Insomma veicolare ancora di più e meglio l’affresco della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo potrebbe risultate un ulteriore, suggestivo, elegante biglietto da visita per la città e la regione, piccola ma ricca di tesori culturali, artistici, monumentali, storici e paesaggistici.
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, l’affresco conservato nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Spoleto
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