“Vietato vietare”. L’espressione riporta a quel vasto e spontaneo movimento (sia studentesco che operaio) che prese corpo in Francia nel 1968 e che contestava tutto e tutti, sul piano sociale, politico, culturale e anche filosofico. “Il est interdit d’interdire” scandivano i manifestanti che avevano nel mirino soprattutto il potere e il regime gollista dell’epoca. Senza arrivare ad esagerazioni o ad eccessive semplificazioni, vale la pena porsi qualche quesito di fronte di fronte a ciò che è accaduto in settimana in una scuola di Bologna.
Marco Ferrari, preside del Liceo Malpighi, ha deciso di negare l’uso dei cellulari a scuola. Il divieto vale sia per gli alunni che per i docenti. Tutti gli smartphone verranno messi via, all’ingresso: i ragazzi dovranno consegnarli prima di entrare in aula. Verranno riconsegnati dai collaboratori scolastici alla fine della mattinata. I docenti hanno più opzioni: lo potranno tenere in sala professori, sulla loro scrivania o in borsa, ma sempre rigorosamente spento. Insomma, niente smartphone per tutti, neppure durante la ricreazione. La decisione è stata collegiale, cioè deliberata dal collegio dei docenti. “Abbiamo deciso per coerenza con la decisione presa per gli alunni – spiega il preside, Marco Ferrari -. A tutti capita di guardare il telefonino e di distrarsi, anche noi prof. Io insegno filosofia e la norma, ovviamente, vale anche per me. Vogliamo recuperare spazi di libertà, ormai siamo tutti dipendenti dal cellulare”. E i genitori? “Glielo abbiamo spiegato, quasi tutti hanno capito e condiviso la decisione”.
Il provvedimento è stato adottato anche per contrastare il cyberbullismo. L’anno scorso l’uso del cellulare venne vietato in una sola classe, una terza, dove si erano verificati episodi di scherno e offese attraverso dei video inviati sulla chat di gruppo. Per arginare la situazione, la scuola decise di bandire il cellulare dalla classe. Una novità che piace molto allo psichiatra Paolo Crepet: “Il modello Malpighi diventi un esempio nazionale. È giusto arrivare ad una soluzione un po’ più drastica. Lo scorso anno ci sono state sperimentazioni simili in altri istituti in Italia e la cosa più interessante è stata la reazione dei ragazzi. Vietare i telefonini comporta un netto calo dell’aggressività, un aumento netto di capacità cognitive, memoria e attenzione e, soprattutto, un aumento netto delle relazioni sociali ed emotive”.
Malumori, invece, tra gli studenti: “Così sembra una punizione – hanno commentato alcuni fuori dall’istituto – è una mancanza di fiducia verso di noi”. “Pensavo che la prendessero peggio – commenta all’ANSA Elena Ugolini, rettrice delle scuole Malpighi di Bologna, già sottosegretaria all’Istruzione durante il governo Monti – ma i ragazzi sono disposti ad accettare sfide quando ci sono delle ragioni. Basti pensare che noi in media attiviamo il nostro cellulare 84 volte al giorno e digitiamo per 2.700 volte al giorno, è chiaro che viviamo sempre in questa dimensione. Sono appena tornata da un giro per i corridoi della scuola durante la ricreazione ed è uno spettacolo vedere che finalmente non ci sono 530 ragazzi con gli occhi piegati sui loro smartphone a mandare dei messaggi o vedere TikTok, ma 530 ragazzi che parlano tra loro, fanno merenda, si raccontano che cosa è accaduto nelle ore precedenti”. “E’ la strada giusta – aggiunge ancora il dirigente scolastico Marco Ferrari –. Che non è quella di togliere: è una strada che va nella direzione di regalare agli studenti una qualità scolastica inedita e piena di relazioni”.
La questione è davvero complicata. Si pone innanzitutto il tema che una scelta del genere vada a collidere in qualche modo con la Costituzione e con alcuni diritti fondamentali: la proprietà privata e la libertà di comunicazione. Obiezioni fondate che a Bologna hanno superato dando la possibilità a chi si oppone (genitori e/o studenti) di continuare a tenere in tasca il cellulare, col divieto di usarlo durante le ore di lezione (norma, peraltro, già vigente dappertutto). Inoltre, in diversi casi, lo smartphone viene utilizzato come strumento didattico: se un prof decide comunque di usarlo, tutta la classe potrà farlo, andando a recuperare gli apparecchi depositati all’ingresso. Un meccanismo farraginoso che evidentemente gli insegnanti eviteranno. Infine, l’obiezione più fondata: ma si può davvero pensare di fermare una tecnologia che è entrata prepotentemente nella vita di tutti noi? Qui, la risposta non è semplice perché è di tutta evidenza che gli smartphone ormai permettono tutto: pagare bollette e multe, ordinare il pranzo o la cena, prenotare biglietti per qualsiasi tipo di evento, informarsi, conoscere le previsioni meteo, la situazione del traffico… Quando tali apparecchietti saranno in grado di fare anche il caffè, la rivoluzione sarà completata…
E’ stato contestato anche il metodo, giudicato non democratico in quanto la decisione non è frutto di un confronto tra l’istituzione scolastica e gli studenti. “Gli adulti devono discutere con l’educando – spiega il preside – ma in altri casi gli adulti devono fare gli adulti. Devono cioè avere il coraggio di sfidare la libertà dei ragazzi con una proposta chiara e con uno scopo condiviso. Loro ci stanno, quanto meno ci provano. Sono peraltro intelligenti e, non imponendo ma proponendo in modo chiaro lo scopo, ti vengono dietro con libertà. Il problema vero, semmai, è: li vogliamo educare, i nostri studenti o li vogliamo evitare? Perché quando tu li educhi sei pronto ad affrontare tutti i problemi che insorgono. Quando li eviti scegli invece ciò che è più comodo”.
Un’ultima considerazione: ma prima di vietare in maniera così drastica, non sarebbe stato meglio mettere delle regole? Chiare, semplici e da applicare seriamente, senza deroghe o chiusure di occhi, magari aggiungendo anche le relative sanzioni, progressive a proporzionate alle mancanze: dal richiamo orale a quello scritto, dal cartellino giallo a quello rosso, fino alla squalifica più o meno prolungata. E’ vero, tali norme esistono, ma sono state davvero applicate, a cominciare dagli adulti e da coloro che dovrebbero dare l’esempio? Perché i veri protagonisti della scuola sono gli alunni (non certo i loro genitori, spesso invadenti e incapaci di educare): purtroppo, talvolta, qualcuno lo dimentica.
Buona domenica.
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