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A Napoli in trepida attesa del miracolo di San Gennaro

di | 2022-09-18T01:11:30+02:00 18-9-2022 6:45|Attualità, Sezione10|0 Commenti

NAPOLI – Una tradizione sentitissima per festeggiare il miracolo di San Gennaro, vescovo e martire cristiano, amatissimo patrono di Napoli. Egli nacque a Benevento il 21 aprile 272, fu vescovo della città e tra gli aneddoti della sua vita si rammentano vari miracoli raccolti negli Atti Vaticani. Gennaro e i suoi compagni si sarebbero recati a Nola, dove avrebbero incontrato il perfido giudice Timoteo. Questi, avendo sorpreso Gennaro mentre faceva proselitismo, lo avrebbe imprigionato e torturato. Poiché le tremende torture inflittegli non sortivano effetto, lo avrebbe infine gettato in una fornace ardente; una volta riaperta la fornace, non solo Gennaro vi uscì illeso e senza che neppure le sue vesti fossero state minimamente intaccate dal fuoco, ma le fiamme investirono i pagani venuti ad assistere al supplizio. Secondo la tradizione la fornace, tuttora esistente, sarebbe quella presente all’interno del complesso delle basiliche Paleocristiane di Cimitile.

Nel 305, Gennaro si recò, insieme al lettore Desiderio e al diacono Festo, in visita ai fedeli di Pozzuoli. Il diacono di Miseno, Sossio, già amico di Gennaro, fu arrestato per ordine del persecutore Dragonzio, governatore della Campania, lungo la strada che stava percorrendo per recarsi alla visita pastorale ed assistervi. Dragonzio decise che tutti fossero sbranati dai leoni (o secondo alcuni dagli orsi) nell’anfiteatro di Pozzuoli. Ma le fiere si sarebbero inginocchiate al cospetto dei condannati, dopo una benedizione fatta da Gennaro. Dragonzio comandò allora che a Gennaro e ai suoi compagni venisse troncata la testa. Così, condotti nei pressi della Solfatara di Pozzuoli, essi furono decapitati nell’anno 305, esattamente il 19 settembre. I cristiani di Pozzuoli seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che il futuro santo avesse sui 35 anni, come pure giovani erano i suoi compagni di martirio. Il sangue fu raccolto in due ampolline da una pia donna di nome Eusebia. Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie solo di S. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette appunto “Catacombe di S. Gennaro”.

Eusebia consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire. Il culto per il santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba. Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini. La sua canonizzazione fu confermata da papa Sisto V nel 1586. La tomba divenne meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti; nel 472, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, (come accade anche nel 512) i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione, iniziando così l’abitudine ad invocarlo in occasione di terremoti ed eruzioni: san Gennaro cominciò ad assumere il rango di patrono principale della città. Il sangue si è sciolse per la prima volta ai tempi di Costantino I.

Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (Avellino), dove rimasero per tre secoli, addirittura se ne perdettero le tracce, finché durante alcuni scavi effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto l’altare maggiore, insieme a quelle di altri santi. Il 13 gennaio 1492, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate nel Duomo di Napoli, unite al capo ed alle ampolle. Intanto le ossa del cranio erano state sistemate nel preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305. Successivamente nel 1646 il busto d’argento con il cranio e le ormai famose ampolline col sangue, furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca di capolavori d’arte d’ogni genere. La teca assunse l’aspetto attuale nel XVII secolo: racchiuse fra due vetri circolari di circa dodici centimetri di diametro, vi sono le due ampolline, una più grande di forma ellittica schiacciata, ripiena per circa il 60% di sangue, e quella più piccola cilindrica con solo alcune macchie rosso-brunastre sulle pareti; la liquefazione del sangue avviene solo in quella più grande.

Il Tesoro è oggi custodito nel caveau di una banca, essendo ingente e preziosissimo, quale testimonianza dei doni fatti al santo patrono da sovrani, nobili e tutt quelli che avevano ricevuto grazie per sua intercessione, o alla loro persona e famiglia o alla città stessa. Le chiavi della nicchia sono conservate dalla Deputazione del Tesoro di S. Gennaro, da secoli composta da nobili e illustri personaggi napoletani con a capo il sindaco della città. Il fenomeno dello scioglimento del sangue si ripete tre volte l’anno precisamente: il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre e il 16 dicembre, considerando il miracolo premonitore di buona sorte. Tale fenomeno si realizzerebbe sotto sollecitazione meccanica.

Storicamente, la prima notizia documentata dell’ampolla contenente la reliquia del sangue di san Gennaro risale soltanto al 1389, come riportato nel Chronicon Siculum. Il 17 agosto vi fu una grandissima processione per assistere al miracolo: il liquido conservato nell’ampolla si era liquefatto “come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo”. La cronaca dell’evento sembra suggerire che il fenomeno si verificò allora per la prima volta. La liquefazione del tessuto biologico durante la cerimonia è ritenuta foriera di buoni auspici per la città; viceversa la mancata liquefazione è considerata presagio di eventi drammatici. La Chiesa cattolica, pur approvandone la venerazione popolare, non ha mai riconosciuto il fenomeno come miracoloso, limitandosi a definirlo come prodigioso. L’autorità ecclesiastica affermò che lo scioglimento del sangue di San Gennaro, pur essendo scientificamente inspiegabile, non obbliga i fedeli cattolici a prestare l’assenso della propria fede.

Nel 1991 tre ricercatori del Comitato italiano per le affermazioni sul paranormale (CIPAP), Franco Ramaccini, Sergio Della Sala e Luigi Garlaschelli, fornirono la prova scientifica circa l’ottenibilità di uno scioglimento simile a quello che è alla base del fenomeno del presunto miracolo. L’indagine aveva per scopo quello di riprodurre gli effetti più documentati della reliquia. La rivista scientifica Nature pubblicò il resoconto dei tre studiosi nell’ottobre di quello stesso anno, in cui si avanza l’ipotesi che alla base del cosiddetto miracolo vi sia il fenomeno noto come tissotropia, ossia la proprietà di alcuni materiali, detti appunto “tissotropici”, di perdere viscosità sotto sollecitazioni meccaniche quali piccole scosse o vibrazioni, e di tornare allo stato precedente se lasciati indisturbati, cosa che accadrebbe durante le celebrazioni solenni. Intanto, ancora oggi uomini e donne mostrano la loro devozione al santo, recandosi nel Duomo di Napoli, dove vi sono le sue reliquie adorando e pregando l’intercessione di San Gennaro.

Claudia Gaetani

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