Tra il 2000 e il 2022 quasi 180mila professionisti del settore sanitario hanno lasciato l’Italia per andare a lavorare all’estero. Di questi circa 131mila sono medici e 48mila infermieri. Un’autentica fuga di cervelli che priva il nostro Paese di professionalità qualificate, per le quali famiglie e collettività hanno speso ingenti risorse per la formazione e che mettono a disposizione le loro competenze in contesti differenti. Uno spreco insostenibile se si pensa alle condizioni in cui versa la sanità italiana in tante regioni, soprattutto al Sud.
Ma perché i giovani (e non solo) se ne vanno? La principale motivazione è di carattere economico: si guadagna di più già a livello di retribuzione, ma vengono offerti anche alcuni benefit (personali, familiari e sociali) che rendono decisamente più appetibile il trasferimento all’estero. E, in alcuni casi, c’è anche la concreta possibilità di operare in ambienti decisamente più stimolanti sul piano scientifico e professionale.
Contratto a tempo indeterminato, 37,5 ore di lavoro settimanali, stipendio di 3500 euro al mese. E ancora volo pagato dall’Italia, alloggio e bollette a carico dei datori di lavoro almeno nei primi mesi. La proposta arriva dalla Norvegia che offre un impiego da sogno per aspiranti infermieri di casa nostra. Gli annunci sono visibili sul sito dell’agenzia di collocamento Global Working. “Le offerte di lavoro in arrivo dalla terra dei fiordi sono allettanti, davvero difficili da rifiutare”, spiega Antonio De Palma, presidente nazionale degli infermieri Nursing Up che lancia l’allarme sulla fuga dei cervelli nel nord Europa.
Secondo il database OCSE aggiornato nel 2022, negli ultimi tre anni disponibili, sono all’estero 15.109 infermieri (ma manca il dato della Germania dove sono al lavoro circa 2.700 infermieri italiani) e 21.397 medici. Una “fuga” oltre confine quindi di quasi 40mila laureati nelle università italiane nel triennio 2019-2021 che, oltre ad aggravare pesantemente le carenze di personale, ha costi elevati e nessun ritorno: la formazione di un infermiere costa circa 22.500 euro sui cinque anni e quella di un medico 41.000 euro sui sei anni di laurea che, con i costi per la specializzazione, sale a circa 150-160.000 euro pro capite. Questo si tradurrebbe negli ultimi anni in circa 3,5-3,6 miliardi “investiti” nella formazione di medici e infermieri che sono ormai patrimonio di altre nazioni.
Qualche esempio rende meglio la situazione: a Dubai, i medici specialisti (chirurghi, ginecologi, cardiologi, neurologi, psicologi…) sono molto richiesti e molto ben pagati: lo stipendio mensile si aggira sui 17mila euro. Queste posizioni di vertice richiedono una formazione nelle migliori università internazionali oltre che una comprovata esperienza (almeno 8 anni). Per i medici di base, la retribuzione si aggira sui 9-10mila euro al mese. E poi alloggio gratis per un anno, scuole internazionali gratuite per i figli, almeno un paio di viaggi pagati per l’Italia…
In Arabia Saudita, gli stipendi possono arrivare a 25-30mila dollari netti al mese, oltre ai benefit di cui si è già fatto cenno. Ci sono specializzazioni che vanno per la maggiore, come medicina generale, ortopedia, chirurgia generale ed estetica, radiologia: per queste figure le retribuzioni sono ancora più alte. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Claudio Pagano, endocrinologo di Padova, ha lavorato per un anno nell’ospedale privato di Mouwasat in Arabia Saudita (stipendio netto mensile di 8mila euro circa): “Non pagano i contributi, tredicesima, quattordicesima e nemmeno l’assicurazione sanitaria. Le tasse sono bassissime, nemmeno paragonabili con quelle italiane. Ma soprattutto ho vissuto momenti di difficoltà etica. A Padova curo tutti allo stesso modo, lì è l’assicurazione che detta le regole e stabilisce a chi passare quali terapie”.
Tornando al dato iniziale, sono 50 gli infermieri italiani negli ultimi 2 anni hanno scelto la Norvegia ma i più partiranno nei prossimi mesi in risposta alla massiccia campagna di acquisizioni promossa dal Paese dei fiordi. “E’ tutto legittimo per carità – commenta ancora il sindacalista Antonio De Palma – anzi per le famiglie dei nostri giovani laureandi è motivo d’orgoglio e soddisfazione che un figlio trovi sistemazioni lavorative così solide in chiave futura subito dopo gli studi, peccato che tali possibilità non arrivino in Italia…”. I professionisti italiani che partono alla volta della Norvegia sono giovanissimi, hanno tra i 25 e i 30 anni. Alcuni sono neo laureati e alla prima esperienza di lavoro. Altri addirittura vengono opzionati al terzo anno di infermieristica.
L’alternativa sono i turni massacranti degli ospedali di casa nostra, le violenze perpetrate nelle corsie, uno stipendio tra i più bassi d’Europa…
Buona domenica.
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