//Povertà educativa: in Italia si fa poco

Povertà educativa: in Italia si fa poco

di | 2024-10-27T01:38:27+02:00 27-10-2024 1:00|Punto e Virgola|0 Commenti

In Italia, nel 2023, il 70,5% dei bambini e ragazzi tra i 3 i 19 anni non è mai andato in biblioteca (63,9% nel 2019) e il 39,2% non ha praticato sport. Il 16,8% tra i 6 e i 19 anni non ha fruito di spettacoli fuori casa (12,9% nel 2019), ovvero non sono mai andati al cinema, teatro, musei, mostre, siti archeologici, monumenti, concerti.

I dati, presentati da Monica Pratesi dell’Università di Pisa e direttrice del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, sono sconfortanti nella loro drammaticità e illustrano una realtà composita che merita interventi seri e approfonditi. Ciò che emerge in maniera chiara è che la povertà educativa in Italia è un fenomeno in enorme crescita, rappresenta una tra le prime cause sulla quale si costruisce ogni altra forma di disparità sociale e inoltre mette in discussione il benessere delle nuove generazioni impattando notevolmente anche sulla capacità dei minori di immaginare il proprio futuro.

La comunità scientifica internazionale preferisce usare l’espressione educational poverty che in italiano si può tradurre come povertà di istruzione. In realtà la povertà educativa è un fenomeno multidimensionale frutto del contesto familiare, economico e sociale in cui bambini e ragazzi (da 0 a 19 anni) vivono ed è dunque più complessa rispetto alla povertà di istruzione perché non si tratta di una lesione del solo diritto allo studio, ma della mancanza di opportunità educative a tutto campo: da quelle connesse con la fruizione culturale al diritto al gioco e alle attività sportive. Minori opportunità che incidono negativamente sulla crescita del minore. Generalmente riguarda i bambini e gli adolescenti che vivono in contesti sociali svantaggiati, caratterizzati da disagio familiare, precarietà occupazionale e deprivazione materiale.

Dai dati Istat emergono altre informazioni preoccupanti: nel 2023, ad esempio, il 10,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha interrotto il percorso formativo con la licenza media e l’8,4% degli studenti del V anno della secondaria di II grado hanno un basso livello di competenze in italiano, matematica e inglese. Ma non va meglio neppure per i più piccoli in quanto, analizzando anche i numeri relativi alle possibilità di ingresso agli asili nidi, emerge come in Italia vi sia un problema di accesso all’educazione proprio a partire dai primissimi anni di vita dei bambini. Nell’anno scolastico 2021-22 i posti nei servizi educativi pubblici e privati per l’infanzia è stato del 28% sul totale dei bambini fra 0 e 2 anni.

Il 13,5% dei minori di 16 anni in Italia (1,13 milioni) si trova in una condizione di deprivazione materiale e sociale specifica. E, sempre nel 2023, il 14% dei minori vive in condizioni di povertà assoluta (con un aumento del 4,6 rispetto al 2014). Ciò significa che quasi 1,3 milioni di giovani vivono in famiglie che non possono permettersi le spese minime per condurre uno stile di vita accettabile. La quota cresce ulteriormente in alcune aree: nel Centro-Nord si attesta attorno al 13%, nel Mezzogiorno l’incidenza di bambini e ragazzi in povertà assoluta raggiunge il 15,5%. La famiglia d’origine gioca ovviamente un ruolo chiave. Nell’ultimo anno disponibile, emerge come a soffrire maggiormente la povertà materiale siano stati i nuclei con più figli, quelli con un solo genitore e quelli in cui la persona di riferimento fa l’operaio o è disoccupata.

Una peggiore condizione familiare molto spesso si traduce in minori opportunità che la famiglia può offrire. Questa correlazione tra deprivazione materiale e bassa istruzione opera nelle due direzioni, ed è nota come trappola della povertà educativa. L’istruzione dei genitori condiziona molto il futuro dei bambini, a partire dai primi anni di vita. Oltre un terzo dei figli di non diplomati si trova in deprivazione materiale e non ha perciò accesso alle stesse possibilità dei coetanei più avvantaggiati. Un ragazzo che nasce in una famiglia povera, e non ha possibilità di formarsi, è probabilmente destinato all’esclusione sociale anche in futuro. Basti pensare che la scelta dell’indirizzo di studi dopo le scuole medie è spesso l’esito di un’autoselezione da parte dei ragazzi in base alla condizione familiare. I dati Almadiploma indicano che nel 2023 solo il 16,1% dei diplomati al liceo era figlio di lavoratori esecutivi, mentre nei professionali l’incidenza era più che doppia (34,3%). A ciò si aggiunga che, in 2 casi su 3, i figli di chi non ha il diploma non si diplomano a loro volta, quasi un primato nel confronto con gli altri paesi Ocse. Si tratta di tendenze negative, perché portano le disuguaglianze economiche, educative, culturali e sociali a tramandarsi dai genitori ai figli, rendendo il fenomeno della povertà educativa di fatto ereditario.

Si notano inoltre ampi divari territoriali in tema di povertà assoluta, con un Mezzogiorno d’Italia capofila nel 2022 con il 15,9%, 12,3% nel Nord, 11,5% nel Centro. “La condizione di fragilità, povertà educativa e materiale pesa in modo significativo sullo sviluppo di bambini e ragazzi e sulla possibilità per loro di costruire il proprio futuro – sottolinea Paolo Venturi, direttore Aiccon (Centro Studi promosso dall’Università di Bologna che svolge attività di ricerca e formazione nell’ambito dell’Economia Sociale)  -. È necessario cambiare le regole del gioco per non lasciare nessuno indietro, poiché condizioni di povertà educativa e materiale generano per bambini e ragazzi uno svantaggio che difficilmente potrà essere colmato negli anni e questo rappresenta un fallimento per la democrazia, che deve essere invece difesa permettendo a tutti di avere accesso alle risorse educative”.

In definitiva, i dati mostrano come povertà economica e povertà educativa si alimentino a vicenda, perché la carenza di mezzi culturali e di reti sociali riduce anche le opportunità occupazionali. Allo stesso tempo, le ristrettezze economiche limitano l’accesso alle risorse culturali e educative, costituendo un ostacolo oggettivo per i bambini e i ragazzi che provengono da famiglie svantaggiate. Investire dunque sulle politiche per infanzia e adolescenza e nella lotta alla povertà educativa è un investimento di lungo periodo e di portata ampia. Per farlo, bisogna avere sicuramente i mezzi, ma soprattutto la volontà.

Buona domenica.

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