Un record, prestigioso e unico, che nessuno ci può togliere e nemmeno mettere in discussione: l’Italia è il paese del mondo con il maggior numero di siti iscritti nella lista del patrimonio Unesco. Dal settembre del 2023 sono ben 59 i siti “patrimonio dell’umanità” in Italia. Non ci sarebbe nemmeno da meravigliarsi perché è di tutta evidenza che il nostro Paese, spesso tanto (e talvolta anche a ragione) bistrattato, è non solo uno scrigno di incomparabili bellezze d’ogni genere (artistiche, architettoniche, paesaggistiche…), ma anche immenso contenitore di tradizioni, culti, eventi (che rientrano nella categoria dei beni immateriali).
La definizione di “patrimonio mondiale” è nata nel 1972, quando l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco, appunto) adottò la Convenzione per la protezione del patrimonio culturale e naturale per salvaguardare i siti di “eccezionale valore universale”. Un patrimonio dell’umanità, ufficialmente definito “patrimonio mondiale” , è un luogo che rappresenta particolarità di eccezionale importanza da un punto di vista culturale o naturale. La lista dei siti patrimonio dell’umanità, comprende quindi siti culturali e naturali, tra i quali si annoverano beni archeologici riferibili a diverse civiltà, complessi monumentali, ville e dimore storiche, centri storici grandi e piccoli, paesaggi culturali, oltre a vulcani, sistemi montuosi e antiche foreste. A questi si aggiunge anche il patrimonio “intangibile” formato dalle tradizioni orali, il linguaggio, le arti dello spettacolo, le pratiche religiose, i riti e le feste trasmesse da una generazione all’altra.
Per salvaguardarli l’Unesco ha adottato nel 2003 la Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, ratificata dall’Italia nel 2007. Nel 2023 ci sono un totale di 1.199 siti del patrimonio mondiale in tutto il pianeta, situati in 168 paesi, di cui 933 culturali, 227 naturali e 39 misti. Con 59 aree selezionate, l’Italia è il Paese con il maggior numero di siti presenti nella lista, seguita dalla Cina (57), dalla Germania e dalla Francia (52). La classifica continua con Spagna (50 siti), India (42) e Messico (35).
L’ultimo riconoscimento è stato conferito, il mese scorso, al fenomeno del “Carsismo nelle evaporiti e grotte dell’Appennino settentrionale”. È un bene seriale, composto da 7 siti che includono al loro interno oltre il 90% delle rocce evaporitiche affioranti sul territorio. Si tratta del primo fenomeno di carsismo evaporitico studiato nel mondo e include alcune delle cave di gesso più profonde (fino ai 265 metri di profondità). I 7 siti sono Alta Valle Secchia, Bassa Collina Reggiana, Gessi di Zola Predosa, Gessi Bolognesi, Vena del Gesso Romagnola, Evaporiti di San Leo, Gessi di Onferno. Il sito ospita un insieme di morfologie carsiche, grotte (oltre 900) e sorgenti evaporitiche di straordinario valore non solo geologico e geomorfologico ma anche paleontologico, biologico, archeologico e per la storia dell’arte. L’eccezionalità è legata alla combinazione unica di fattori geologici e climatici che coesistono in questo territorio.
Il primo invece fu assegnato nel 1979 all’Arte Rupestre della Valle Camonica. Oltre 140.000 simboli e figure intagliati nella roccia lungo un periodo di circa 8000 anni descrivono temi collegati all’agricoltura, alla navigazione, alla guerra, alla caccia, alla magia, ma rappresentano anche figure geometriche simboliche. Le prime tracce dell’uomo in Valcamonica risalgono almeno a tredicimila anni fa, quando l’area fu interessata da una prima frequentazione umana a seguito dello scioglimento dei ghiacciai, ma solo con l’avvento del Neolitico (V-IV millennio a.C.) nella valle si insediarono stabilmente i primi abitanti. A questa fase si fanno risalire tradizionalmente alcune figure antropomorfe (i cosiddetti “oranti”, esseri umani schematici con le braccia rivolte verso l’alto) e certe “raffigurazioni topografiche”. L’arte incisoria nella Valcamonica iniziò ad esaurirsi con l’assoggettamento all’impero romano (16 a.C.), salvo una breve ripresa in epoca basso-medievale. Per la valorizzazione del complesso di archeologia rupestre sono stati costituiti 8 parchi archeologici e un museo nazionale della preistoria.
In 34 anni, l’Unesco ha premiato siti e strutture assai differenti: dai Portici di Bologna ai Siti palafitticoli preistorici delle Alpi; dalle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene al Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, con i siti archeologici di Paestum, Velia e la Certosa di Padula; dai Trulli di Alberobello e dal complesso di Castel del Monte in Puglia ai Centri storici di Siena, Napoli, Roma, Firenze. E ancora Genova, le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi dei Rolli; Siracusa e le necropoli rupestri di Pantalica; la Val d’Orcia, in Toscana; le Necropoli Etrusche di Cerveteri e Tarquinia; i Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia; Le città tardo-barocche del Val di Noto (Sicilia sud-orientale); Villa d’Este e Villa Adriana a Tivoli; La ferrovia retica nel paesaggio dell’Albula e del Bernina; Mantova e Sabbioneta; Assisi, La Basilica di San Francesco e altri siti Francescani; Verona; le Isole Eolie; il Centro Storico di Urbino; l’Area archeologica e Basilica Patriarcale di Aquileia; l’Orto botanico di Padova.
Un patrimonio enorme, incommensurabile che tutto il mondo ci invidia e che noi, talvolta, non riusciamo a custodire e tutelare come si dovrebbe. In verità, la sensibilità è notevolmente aumentata negli ultimi anni tanto più che la “patente” Unesco ha una valenza certamente culturale, ma rappresenta anche un volano economico di indubbia portata: si pensi al caso di Matera che, dal 1993 (anno in cui ottenne il riconoscimento) ha avuto uno sviluppo turistico senza precedenti che ha trovato la valorizzazione definitiva con il titolo di Capitale europea della Cultura nel 2019. E allora, non resta che godere di tutte queste bellezze, magari evitando qualche viaggio esotico che fa sicuramente tanto chic, ma che forse non ha lo stesso fascino di diverse località italiane.
Buona domenica.
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