MILANO – Nel libro appena edito da Interlinea, scritto dal letterato Gian Carlo Ferretti (Pisa, 16 giugno 1930), relatore alla manifestazione di tre giorni “Book Pride”, tenutasi Milano, l’eclettico e discusso Pier Paolo Pasolini viene definito “personaggio Pasolini”. Lo scrittore racchiude in sé tutte le sfaccettature delle arti letterarie. Bolognese, nato il 5 marzo 1922, data in cui, con varie iniziative in tutta Italia, ne è stato commemorato il centenario, studiò nella “dotta”, laureandosi in letteratura con una tesi su Pascoli e dal 1943 in poi, visse nel paese materno di Casarsa della Delizia, in Friuli, con la madre e il fratello minore Guido.
Il padre, ufficiale in carriera, si spostava frequentemente sul territorio non vivendo appieno la famiglia e avendo proprio con Pier Paolo un rapporto conflittuale, che fece soffrire il giovane anche dopo la sua morte. PPP fu legatissimo alla figura materna, con la quale visse per numerosi anni. Enigmatico, solitario, intellettuale eclettico, dal fare serioso, impassibile nel suo aplomb, nasce come poeta. I primi lavori sono innumerevoli poesie che caratterizzano la sua figura, fin dagli esordî in “dialetto” friulano, scrisse “Poesie a Casarsa” (1942) e “La meglio gioventù” (1954; poi ripreso con intenti diversi e notevole incremento di testi con il titolo “La nuova gioventù”, 1975). Pasolini fu personaggio innovativo perché ricercava purezza nella poesia, alla scoperta di una lingua intatta tanto che costituirà nel 1945 l’”Academiuta di lenga furlana”. La sua prima notevole raccolta di poesie in lingua, “Le ceneri di Gramsci” (1957), chiude, secondo i critici, definitivamente una stagione della poesia italiana.
La sua carriera sarà un susseguirsi come autore e regista cinematografico e teatrale. Nel gennaio 1950, si stabilì con la madre a Roma, in quanto denunciò pubblicamente la sua omosessualità, provocando un grave scandalo all’epoca. Tale data coincide con la tumultuosa attività di scrittore, regista e intellettuale impegnato a testimoniare e a difendere la propria diversità. Fu proprio dopo la pubblicazione dei suoi due romanzi d’ambientazione romana tra cui “Ragazzi di vita” (1955) e “Una vita violenta” (1959), che dovette subire un processo per oscenità. Pasolini fondò insieme a Leonetti e Roversi “Officina”, la rivista della polemica anti-novecentesca; divenne condirettore di “Nuovi argomenti”, rivista fondata nel 1953 da Alberto Moravia e Alberto Carocci. Si occuperà poi di cinema, a partire dal 1954, come sceneggiatore con Mario Soldati, ne “La donna del fiume”; con Federico Fellini, ne “Le notti di Cabiria”; con Bolognini, ne “Il bell’Antonio” e, fra i tanti, lavorò anche con Bernardo Bertolucci, ne “La commare secca”.
L’innovazione di Pasolini si ebbe con “Il Vangelo secondo Matteo” (1964), ove fuse cinema, letteratura, pittura e musica dando vita a quel “cinema di poesia” di cui Pasolini era sostenitore e teorico. I film che seguirono, soprattutto “Edipo re” (1967), “Teorema” (1968) e “Medea” (1969), accesi da un realismo visionario che puntarono alla riscoperta del sesso attraverso una rilettura delle fonti della grande favolistica mondiale: realizzò “Decameron” (1971), “I racconti di Canterbury” (1972), “Il fiore delle Mille e una Notte” (1974). Realizzò “Comizi d’amore” (1965), un’indagine sulla sessualità nell’Italia dei primi anni Sessanta, condotta insieme a Moravia e Musatti. Esemplare parabola della storia d’Italia, dalla predicazione francescana ai funerali di Togliatti, è “Uccellacci e uccellini” (1966), con Totó e Ninetto Davoli. Sperimenterà il teatro (“Orgia”, 1968; “Affabulazione”, 1969; “Calderón”, 1973) e scriverà come giornalista, soprattutto dal 1973, per il Corriere della sera.
Profetica fu la messa in scena, costantemente provata e riprovata in parole come sarà nei fatti, della propria morte.
Quasi come un presagio o la stesura di un suo nuovo lavoro, PPP descrive, sulle pagine del quotidiano milanese, a proposito dei golpe falliti, delle stragi, della strategia della tensione e del Paese. “Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero quadro politico, là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere”.
Scrisse tutto questo esattamente un anno prima di venire ammazzato, nella notte fra l’1 e il 2 novembre 1975, massacrato di botte e travolto a più riprese dalla sua stessa auto, sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, dove poi venne abbandonato come un cane e ritrovato il mattino dopo da una passante. Il suo corpo abbandonato su di una spiaggia deserta davanti a un mare d’inverno: un luogo carico di simboli, di malinconia velata, di tristezza e gioia che insieme si infrangono sul bagnasciuga, un luogo di possibilità e di pregnante umanità proletaria. Un luogo perfetto per accompagnare la morte di uno dei più grandi artisti che la nostra storia abbia mai potuto celebrare e che, quasi come in una scrittura cinematografica, è capace di sovrapporre e dissolvere, il sacro con il profano, l’alto con il basso, la poesia con la materialità.
Così Pier Paolo Pasolini aveva fatto in tutta la sua vita e in tutta la sua opera poetica, che si parlasse di film, drammi, poesie, romanzi, poemi, quadri, pensieri, saggi o parole. La sua morte raccoglie tutto questo. Il suo volto segnato da mille rughe, ognuna delle quali potrebbe raccontare qualcosa. Post mortem diversi scritti appartenenti alla fervida stagione friulana del poeta sono stati raccolti dal cugino Naldini e pubblicati. Blasfemo e irriverente, poeta e critico, amante della vita e dell’irrisolutezza, unico nelle sue sfaccettature e nelle sue contraddizioni, avvolto ancora oggi in un affascinante mistero.
Claudia Gaetani
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