PERUGIA – La guerra irrompe ormai in diretta, non da oggi, ma da una trentina di anni almeno, nelle nostre case, sugli schermi televisivi, che ci portano, come fossimo lì, sul posto, i sibili delle bombe e dei proiettili; che ci fanno vedere – raccapricciante spettacolo – i cadaveri delle vittime riversi a terra nelle pose più assurde e anomale; che ci mostrano le lacrime toccanti ed i pianti dirotti delle donne e dei bambini costretti a fuggire con poche cose o nulla verso l’estero, lasciando le case distrutte, i propri beni, i propri parenti, magari anziani (che, testardi, vogliono rimanere, costi quel che costi, sulla terra natia). senza sapere cosa riserverà loro il futuro.
Questi orrori non insegnano nulla, non smuovono più di tanto i cuori, non scuotono e non ammorbidiscono le coscienze. Scivolano via come la pioggia sui vetri delle finestre. Premi il tasto del canale: dalla morte crudele passi alle frivolezze della moda o dello spettacolo. Come se quanto hai appena visto fosse un semplice videogioco. Ogni volta che lo schermo zooma su una nave che bombarda, su un aereo che mitraglia, su un carro armato che avanza, su un cecchino che spara a raffica, riaffiorano nella memoria le sofferte e dolorose parole della poesia di Salvatore Quasimodo, “Uomo del mio tempo”. Nonostante l’apparente evoluzione – dagli ominidi appena scesi giù dagli alberi all’uomo moderno tutto votato alla scienza – l’uomo è restato, dentro, abbarbicato all’età della pietra.
Il passaggio da quell’era – 4-5 milioni di anni fa – ai giorni nostri si limita ad un salto, questo sì, amplissimo, nell’affinamento degli armamenti: dalla pietra scheggiata o dalla rude clava agli ordigni sofisticati ed ai missili, cosiddetti “intelligenti”, sempre più distruttivi. “T’ho visto: eri tu – ammonisce Quasimodo – con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio”. I più bassi istinti, a cominciare dall’egoismo sfrenato e dal mero interesse materiale, resistono, arroccati e irremovibili, nei cuori, negli inveterati comportamenti. Spingono l’uomo ad aggredire, ad annientare l’altro. A combattere la guerra brutale, sebbene sia chiaro ed evidente, che scatenare un conflitto, comporterà morti innocenti, dolori indicibili, povertà acute, carestie tremende, sia tra i vinti sia tra gli stessi (eventuali) vincitori. Ad essere migliorate attraverso i millenni, restano solamente l’arrogante potenza militare, la feroce, cieca lesività delle armi offensive: missili, aerei, carri armati, bombe atomiche.
L’utilizzo di queste ultime, devastanti per l’umanità e per lo stesso ambiente, forse persino per la vita della, e sulla, Terra, viene minacciato, addirittura, per costringere il soccorritore della vittima designata, il buon samaritano di turno, a non intervenire. Come se Caino, mentre colpisce a morte Abele, intimasse a chi si avvicina per prestare un minimo aiuto all’agonizzante, di allontanarsi pena subire la stessa sorte. Non solo. L’alessandrinismo che alberga in molti, porta taluno a chiedersi se il comportamento dell’aggredito non giustifichi l’azione omicidiaria. Che, insomma, Abele o l’agnello – protagonista della favola antica di Esiodo, accusato, sebbene si trovasse a valle, dal lupo di inquinargli l’acqua – se la siano cercata e che dunque la loro soppressione, la loro uccisione sia da considerare, tutto sommato, giusta.
Le parole solidarietà e fratellanza – che la maggior parte delle religioni predicano e che la Rivoluzione Francese, laicamente, ha teorizzato, suscitando tante speranze – suonano vuote e false. Non rivestono più alcun significato, alcun senso. Quei valori vengono sacrificati sull’altare dell’interesse. Immolati a favore della violenza cieca. Della legge del più forte. L’etica e la morale svaniscono travolte dal vento della violenza, della sopraffazione. L’uomo, nei vari paesi, ha sviluppato, quale nuova religione, la tecnologia, calpestando la sapienza e la saggezza accumulate, dalle menti migliori, nei secoli. Pian piano quest’uomo ha continuato a disumanizzarsi, invece di curare e far sbocciare sempre più il fiore del rispetto dell’altro, di una piena, compiuta umanità. “Senza amore, senza Cristo – incalza il poeta – hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri”.
Quanta ragione bisogna riconoscere al poeta che invita i giovani a dimenticare la terra intrisa di sangue, a rinnegare i padri del cattivo esempio, le cui tombe appaiono abbandonate e coperte dalla cenere dell’oblio, mentre gli uccelli neri in volo e un vento turbinoso oscurano i loro cuori. Proseguendo nella direzione imboccata, senza comprensione, senza solidarietà, senza fraternità, l’uomo – del nord, del sud, dell’est, dell’ovest, dovunque si trovi o si collochi – rischia in concreto la catastrofe, l’apocalisse, l’armageddon. La fine dei tempi. L’estinzione del genere umano. Compreso l’autore del gesto ultimo, l’incaricato di premere il bottone – non del canale televisivo per cambiare un uggioso programma, ma dell’arma letale, definitiva -, che determinerà la scomparsa della vita “tout court“ del pianeta.
Elio Clero Bertoldi
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