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Sanremo e Francesco: tutto il potere della tv

di | 2022-02-13T07:27:53+01:00 13-2-2022 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

RIETI – La televisione è un elettrodomestico: puoi accenderlo o spegnerlo e soprattutto c’è il telecomando. Se facessimo tutti così, forse alcuni programmi trash e diseducativi avrebbero vita breve. Ma c’e comunque e sempre la libertà di poter scegliere; e le scelte sono individuali e personali, proprio per questo nell’approssimarsi del festival di Sanremo sorge spontanea una domanda: che bisogno hanno le persone di scrivere sui social ogni anno che non seguiranno il festival di Sanremo, come se questa dichiarazione fosse sinonimo di essere superiori o migliori rispetto a chi lo segue? Basta non guardarlo: perché comunicarlo agli altri, facendo gli snob?

Papa Francesco nella trasmissione di Fabio Fazio

Dalla prima edizione nel 1951, nel Teatro del Casinò (fino al 1976), il festival ha fatto parte della nostra vita, trasformandosi negli anni e diventando, come ha dichiarato anche l’antropologo Marino Niola, “lo specchio della nostra società”. Ogni edizione ha avuto una sua connotazione, una sua direzione artistica più o meno efficace, ma ci piace tanto discutere e disquisire su chi era vestito meglio, peggio, chi è stato più bravo, se la canzone vincitrice era veramente meritevole. Sanremo è nato nello spirito del primo dopoguerra, quando poche famiglie avevano la televisione e “c’era una voglia di ballare cha faceva luce” come ripete spesso Francesco Guccini. Sanremo vive e respira insieme a noi e ci rappresenta sempre, nel bene e nel male.

Nella prima edizione tre interpreti si avvicendarono nel cantare le 20 canzoni in gara: Nilla Pizzi, Achille Togliani e il Duo Fasano. Vinse “Grazie dei fiori”, interpretata da Nilla Pizzi, che l’anno successivo vinse con “Vola colomba”: era l’Italia che si stava rialzando. Le edizioni fino al 1954 furono trasmesse solo per radio, poi l’Eurovisione sempre su Raiuno, rete ammiraglia, anche dopo l’introduzione di Rai 2 e Rai 3. Da Nunzio Filogamo alle tredici conduzioni di Pippo Baudo (che lo rilanciò dopo un periodo minore), le undici di Mike Bongiorno e chissà a quanti Festival arriverà Amadeus, già in corsa per la quarta edizione. Domenico Modugno, Joe Sentieri (chiudeva le esibizioni con un saltino), Toni Dallara, Gigliola Cinquetti, i Rokes, L’Equipe ’84, un giovanissimo Ivano Fossati con i Delirium, Lucio Dalla con “4 marzo 1943”, il suicidio di Luigi Tenco che sconvolse il festival, che comunque non si fermò. Fece scalpore Adriano Celentano quando si esibì per la prima volta dando le spalle al pubblico sulle prime note del suo “24 mila baci”, Vasco Rossi con “Vita spericolata”, Zucchero con “Donne”, Anna Identici con la canzone denuncia delle morti su lavoro, Celentano e Claudia Mori con “Chi non lavora non fa l’amore” sugli scioperi nelle fabbriche, l’indimenticabile Mia Martini, Eros Ramazzotti, le edizioni con gli ospiti stranieri in gara fra cui Wilson Picket, Paul Anka, Louis Armstrong che non smetteva mai di suonare, lo scanzonato Antoine. Insomma siamo passati da Achille Togliani a Achille Lauro e ogni edizione è stata, è, e sarà lo specchio del nostro tempo.

Amadeus con Elisa, Blanco, Mahmood e Gianni Morandi

Dopo il Festival dello scorso anno, particolarmente difficile per chi l’ha condotto in assenza di pubblico, l’edizione di quest’anno è stata all’insegna della voglia di tornare a vivere e stare insieme, che in qualche modo richiama lo spirito del dopoguerra. Questo festival ha dato ossigeno a elettricisti, tecnici, fonici, musicisti, fiorai, alberghi, ristoranti, fermi da due anni, dando tanto spazio ai giovani senza tralasciare i big, l’omaggio di Iva Zanicchi a Milva, l’ironia e l’eleganza di Drusilla Foer (Gianluca Gori), con un bellissimo monologo sull’unicità di ognuno di noi, riflessioni sul razzismo, la mafia, la simpatia di Sabrina Ferilli. Un’edizione che ha lasciato in molti una piacevole sensazione, con uno share mai registrato del 65%. Sull’onda di questo scambio di energie positive, dopo la serata conclusiva del festival, con la proclamazione dei vincitori, la ciliegina sulla torta (con un 25% di share): Papa Francesco che parla con semplicità e dolcezza alle nostre coscienze inaridite, quasi come fosse seduto nel salotto di casa nostra, ricordandoci il diritto di ogni uomo al perdono (quando viene richiesto), a non parlare con il male, la condanna delle guerre, del traffico d’armi, i lager libici, l’infanzia negata, la mondanità della Chiesa che porta al clericalismo, ci insegna la semplicità della preghiera, l’importanza di essere fratelli tutti in armonia con la natura e con se stessi, l’importanza dell’amicizia e quella domanda alla quale neanche lui ha risposte: perché i bambini soffrono?

Sottolinea come il senso dell’umorismo sia una medicina che fa bene al cuore e dà tanta gioia. “Da 40 anni prego ogni giorno la Preghiera del buon umore di Thomas Moore”. L’autore dell’Utopia, il santo martire che si celebra il 22 giugno, colui che avrebbe sacrificato la sua vita proprio per la sua fede poiché si rifiutò di abiurare al cattolicesimo, la scrisse in carcere, dopo aver saputo che sarebbe stato condannato a morte. Nell’isola di Utopia i cittadini vivono come in una grande famiglia in comunanza di beni, sotto il governo di un senato di saggi che può ricorrere anche alla diretta consultazione popolare; tutte le religioni sono ammesse e nessuno può con la forza convertire gli altri; fondo comune di tutte le credenze è la fede in un essere provvidente e buono. Siamo davanti a una società retta secondo la ragione naturale, implicitamente contrapposta alle società europee, e soprattutto a quella inglese, caratterizzate da ingiustizie e violenze. Nell’isola è abolita la proprietà privata, i beni sono in comune e non c’è il commercio dei beni, tutti hanno l’obbligo del lavoro rurale, sul piano religioso vige la libertà di culto, a patto di non essere atei. “De optimo ei publicae statu deque insula Utopia”, una chiara ripresa della “Repubblica” di Platone, così come delle opere di Erasmo da Rotterdam. E questa è la preghiera del buon umore:

Dammi, o Signore, una buona digestione

e anche qualcosa da digerire.

Dammi la salute del corpo,

col buon umore necessario per mantenerla.

Dammi, o Signore, un’anima santa,

che faccia tesoro di quello che è buono.

Dammi un’anima che non conosca la noia,

i brontolamenti, i sospiri e i lamenti,

e non permettere che io mi crucci eccessivamente

per quella cosa troppo invadente che si chiama “Io”.

Dammi, o Signore, il senso dell’umorismo.

Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo,

affinché conosca nella vita un po’ di gioia

e possa farne parte anche ad altri.

Francesca Sammarco

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