ROMA – C’è un passo nella nostra letteratura che sintetizza magnificamente la mentalità della classe politica italiana e che merita, dopo i fatti del Quirinale della scorsa settimana, la lettura ma anche una rilettura. Si tratta de “I Vicerè” dello scrittore napoletano ma di origine catanese Federico De Roberto, opera sicuramente meno conosciuta del più noto “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa ma che più di questo sa penetrare le radici e le ragioni di quel vizio della classe dirigente chiamato “trasformismo”.
Il suo romanzo storico descrive la Sicilia tra la fine del Risorgimento e l’Unità d’Italia attraverso la saga degli Uzeda da Francalanza, famiglia decaduta di quei governatori del re che, appunto, si chiamavano “Vicerè”. Sullo sfondo di un’Italia tutta da costruire dopo l’Unità, i membri di questa famiglia con i loro vizi e la loro corruzione si presentano come il ritratto di una classe dirigente in cui prevalgono sopraffazione, affarismo e tanto becerume. Ma soprattutto, quel che emerge dalla trama di De Roberto, è non l’immoralità ma l’amoralità della nobiltà disposta a tutto pur di mantenere lo “status quo”, espressione utilizzata molto negli ultimi giorni per alludere alla situazione preesistente, alla stabilità politica o anche al potere.
Figura di spicco nel romanzo è quella di Consalvo: all’inizio è solo un bambino. ma impara presto a destreggiarsi nella società che si sta trasformando e cui cerca di adeguarsi. Alla luce degli esempi familiari il giovane rampollo riesce a rimanere a galla in un mondo dove la nobiltà non conta più nulla e sono ben altri i valori cui ambire. Nel tramonto di un’epoca ormai lontana Consalvo rappresenta emblematicamente il trasformismo italiano, infatti rinnega se stesso pur di non perdere i privilegi dei tempi andati. Alle prime elezioni a suffragio universale del 1882, da reazionario e borbonico qual era, seguendo l’esempio dello zio viene eletto fingendo idee di sinistra e il bello è che non se ne vergogna affatto: per lui è giusto ricorrere ad ogni espediente per mantenersi in equilibrio quando i tempi e le circostanze cambiano.
E così ecco la frase che rappresenta il cuore di questo romanzo straordinario purtroppo non abbastanza apprezzato dai critici che, anzi, lo stroncarono quando fu pubblicato, nel 1894. Consalvo dice: “Quando c’erano i Viceré, gli Uzeda erano Viceré; ora che abbiamo i deputati, lo zio siede in Parlamento”. E’ una dichiarazione che, ancora oggi, non stupisce. Già i primi governi dell’Italia unita, guidati da Depretis e Crispi, dal 1880 in poi, furono caratterizzati dal trasformismo dei parlamentari con il loro portato di disonestà e clientelismo, con le maggioranze basate su accordi sottobanco e imbrogli per far sparire le opposizioni, vanificando così il voto degli elettori. Ma queste operazioni garantivano la tenuta della politica nazionale, la stabilità, il potere, servivano a “trovare la quadra”.
I primi eletti diedero scandalo con queste operazioni, passando da una parte all’altra dell’arco parlamentare. La politica era già una macchietta e Consalvo ne è una rappresentazione esilarante e sincera con i suoi ideali democratici poco affidabili e con il suo unico progetto di mantenere il prestigio e i privilegi, anche se chi glieli garantisce non è più il re ma il popolo che non nasconde di disprezzare. Consalvo è il prototipo della politica italiana specializzata nel sopravvivere a se stessa. Non ci si stupisce del teatrino svoltosi per le recenti elezioni del Capo dello Stato! Lì c’erano tanti Consalvo in azione per non perdere lo scranno e l’obiettivo non era il bene degli italiani ma solo il mantenimento dello statu quo. Quando il potere personale è a rischio tutto deve rimanere al suo posto, anche se sembra essere in atto un cambiamento.
Gloria Zarletti
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