PERUGIA – Quando leggeva o sentiva la definizione “faccendiere” che gli affibbiavano, non solo i giornalisti, Flavio Carboni (1932-2022) si inalberava e replicava di essere, piuttosto, imprenditore e immobiliarista. Un uomo d’affari, dunque. Si vantava di frequentare il bel mondo romano, pure quello dei salotti aristocratici, dove amava presentarsi con i suoi eleganti doppiopetti, per giocare a poker. Nei momenti del suo fulgore si spostava con un aereo, acquistato da una delle sue società, che era stato in precedenza proprietà, fino al 1980, del popolare attore Bud Spencer – al secolo Carlo Pedersoli -, e che, per diverso tempo, venne parcheggiato in uno spazio aereo a San Terenziano di Gualdo Cattaneo. L’aeromobile – un “Cessna Citation 1” siglato “I-Kune”, primo businness jet a turboventola in produzione tra il 1969 ed il 1985, in grado di trasportare fino a cinque passeggeri – sarebbe lo stesso aereo che Guido Calvi avrebbe preso ad Amsterdam proveniente da Klagenfurt, in Austria, per espatriare di nascosto e raggiungere Londra, dove venne poi ritrovato morto (impiccato: ammazzato o suicida?) il 18 giugno del 1982 sotto il ponte dei Frati Neri (Black Friars, così venivano etichettati i Domenicani) sul Tamigi.
La vittima, appesantita da pietre infilate nelle tasche, custodiva 15.000 dollari, un passaporto falso (a nome di Gian Roberto Calvini) ed un foglio con i nominativi di diversi soggetti italiani. Pare che il velivolo fosse partito o avesse fatto scalo, all’areoporto San Francesco di Assisi. Da qui Carboni sarebbe decollato in compagnia della sua compagna dell’epoca, l’austriaca, proprio di Klagenfurt, Manuela. Carboni (risultò iscritto alla P2 con la tessera 519, anche se lui negava l’affiliazione), dopo a tragica fine di Calvi, subì tutta una serie di processi, a cominciare dall’accusa di omicidio aggravato e premeditato. I vari procedimenti svelarono tutta una serie di intricati rapporti tra Calvi, la banca vaticana (lo Ior, Istituto Opere Religiose, gestito dall’arcivescovo statunitense Paul Marcinkus), mafiosi (che avrebbero “ripulito” i soldi sporchi delle attività illecite) e criminali della banda della Magliana (responsabili del tentato omicidio a Milano del vicepresidente del Banco Ambrosiano, Roberto Rosone, sicario Danilo Abbruciati, freddato da una guardia giurata nel corso dell’azione delittuosa).
Basso di statura occhi vivi, pungenti – Pazienza lo aveva soprannominato “nano ghiacciato” – vivace parlatore, quando fu invitato nella villa di Calvi, primo incontro tra i due, si sarebbe presentato al cancello con una enorme forma di pecorino sardo. Carboni si vide imputato di reati pesantissimi tra i quali l’omicidio, l’associazione a delinquere, la ricettazione, il riciclaggio. L’imprenditore sardo comunque venne, via via, assolto dalle diverse imputazioni che gli erano piovute addosso tranne che dalla bancarotta del Banco Ambrosiano, per la quale venne riconosciuto colpevole e condannato ad una pena di 8 anni e mezzo. Tra i personaggi ai quali fu, in qualche modo, accostato Licio Gelli, il fondatore e manovratore della loggia massonica P2 e poi alla P3 (il finanziere ha sempre negato di averlo conosciuto), il mafioso Pippo Calò (“Mi era stato presentato come Mario Agliadoro e non potevo sapere che fosse di Cosa Nostra”), l’agente segreto Francesco Pazienza, il chiacchierato Marcinkus (“Mai incontrato”, assicurava).
Il primo sbarco sul continente Carboni, che era nativo di Torralba, in provincia di Sassari, lo aveva portato a Roma, dove era stato chiamato, quale funzionario del ministero della Pubblica Istruzione, ad interessarsi dei concorsi da insegnante. Lui che aveva frequentato il liceo, ma senza mai conseguire il diploma. Con lui – colpito da infarto lo scorso 24 gennaio, dopo averne superati altri tre – scompare uno degli ultimi protagonisti dei “misteri d’Italia”.
Elio Clero Bertoldi
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