ROMA – È tuttora in scena al Teatro dell’Opera di Roma il dramma in tre brevi atti “Kát’a Kabanová” del compositore ceco Leoš Janáček, che – ispirato al dramma “L’uragano” di A. Ostrovskij – fu presentato in prima assoluta al Teatro Nazionale di Brno nel 1921. Ma anche la messa in scena nel nostro teatro lirico, dal 18 al 27 gennaio prossimo in una col Covent Garden di Londra, è una prima assoluta – certo romana – di un’opera ceca che il pubblico non conosce, ma che progressivamente acquista consensi internazionali. Ed è infatti una delle migliori opere del compositore, accanto a “Jenufa”, a “Da una casa di morti”, a “La piccola volpe astuta”: e vi ritroviamo i caratteri della cultura slava, la presenza della natura musicalmente resa fino al dolce mormorìo della acque e al canto degli uccelli, il clima triste intriso del malessere dei popoli sotto dittatura, e la molteplicità veristica dei personaggi.
Tutto ciò è stato reso con efficacia dal regista Richard Jones, che ha invaso il palcoscenico di figuranti e coristi, che correvano in continuazione da due porte a destra e a sinistra, le quali si aprivano e si chiudevano ossessivamente in enormi murature chiuse, quasi senza aperture, imprigionanti la giovane protagonista Kát’a Kabanová. Salvava dall’oppressione la dolce voce, impeccabile specie nelle emissioni, dell’americana Corinne Winters, che già trionfò in estate, nella Butterfly al Circo Massimo, e che ora incarna davvero le parole di Janáček sulla propria creatura: “Protagonista è una donna, di carattere molto mite, basterebbe un colpo di vento a trasportarla via, per non parlare della tempesta che si riversa su di lei”.
Sì, perché Kát’a Kabanová, sposa di Tichon Kabanov, è vittima della oppressiva e sadica suocera Marfa Kabanová (Susan Bickley): e profittando della partenza del marito, stringe un rapporto con Boris (tenore Charles Workman). Precipiti sono in lei i sensi di colpa, fra una folla di vocianti e malpensanti tormentatori, tra i quali peraltro una coppia innocente – Varvara (Carolyn Sproule) e Kudrjas (Sam Furness) innamorati e felici – che acuiscono in Kát’a la consapevolezza bruciante del proprio peccato.
Perseguitata dal suo delirio, la giovane confessa infine alla suocera la relazione avuta con Boris, ma nulla ne consegue: e nell’indifferenza della folla, dopo un lungo monologo, non reggendo al rimorso Kát’a si suicida, gettandosi nelle onde del grande Volga. La bellezza della musica, fra tradizione e modernissime soluzioni armoniche, attenta alla felice corrispondenza tra parola e suono voluta da Janáček, ed eseguita con acceso e intenso pensiero musicale da David Robertson, non ci fanno dimenticare la denuncia sociale dei pregiudizi e del feroce conservatorismo della società borghese russa di fine dell’Ottocento, che l’opera di Janáček fino in fondo rappresenta.
Paola Pariset
Nell’immagine di copertina, la scena della morte di Kat’a nel secondo atto
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