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La Monaca di Monza tra passione e omicidi

di | 2022-01-21T13:45:26+01:00 23-1-2022 6:30|Personaggi, Sezione 7|2 Comments

MILANO – Chi era in realtà la Monaca di Monza che il Manzoni ne “I promessi Sposi” chiama la “Signora”? La Monaca di Monza, in realtà è Marianna de Leyva nata a Milano il 4 dicembre 1575 e morta sempre a Milano il 17 gennaio 1650. Figlia del conte di Monza e nipote del primo governatore spagnolo di Milano, Marianna è la primogenita di genitori potenti ed influenti. Riceve dal padre il titolo di contessa di Monza, di qui l’appellativo di “Signora” che si compenetra perfettamente alla realtà storica a cui appartiene la monaca. Il padre, il conte Martin de Leyva, grande comandante militare al servizio dell’imperatore spagnolo Carlo V, il 15 dicembre 1574 sposa Virginia Marino, figlia del finanziere e commerciante genovese Tommaso. Nel 1575 nacque Marianna che all’età di un anno rimase orfana di madre. Nel 1588 il padre si risposò con una nobildonna di Valencia, dalla quale ebbe figli maschi e due figlie femmine morte da piccole.

Marianna de Leyva, ovvero la monaca di Monza

Questo nuovo matrimonio in Spagna allontanò il padre da Marianna, alla quale lasciò una dote per il suo ingresso nel monastero delle monache benedettine di clausura di Santa Margherita a Monza sotto l’autorità dell’arcivescovo Federico Borromeo. Nel 1589 Marianna entrò nel monastero ed iniziò il suo noviziato. Il 12 settembre 1591 prese i voti e diventò Suor Virginia Maria. Il suo ruolo fu sempre quello di una suora di rango superiore alle altre in virtù del fatto che comunque lei, grazie alla delega ricevuta dal padre, esercitava la sua potestà sul feudo di Monza. Si può dire che fosse entrata nel monastero monzese di Santa Margherita con un piglio da padrona. Il suo compito era quello di sovrintendere all’esazione delle imposte e aveva quattro converse al suo servizio, che trattava in modo molto severo. Nel 1597 suor Virginia incontrò per la prima volta quello che poi divenne il suo amante, tale Giovanni Paolo Osio. La famiglia del giovane, ricca e rispettata, abitava vicino al monastero di Santa Margherita. Addirittura dal loro giardino erano visibili le finestre del monastero.

Giovanni Paolo Osio

Il giovane Giovanni Paolo era bello e ricco e vantava amicizie con potenti famiglie lombarde come quella dei D’Adda, dei Borromeo, dei Taverna e dei Visconti. L’incontro tra i due fu a dire il vero uno scontro dato che – come raccontò lei stessa durante il processo a cui fu sottoposta in seguito – fu una vera e propria lite. Suor Virginia, che doveva sorvegliare le educande, si accorse che Gian Paolo Osio aveva preso a corteggiare Isabella degli Ortensi. Il giovane le regalava della frutta e le faceva gli occhi dolci. Per questo motivo fu aspramente rimproverato da Suor Virginia, ma il giovane Osio che pur si era ritirato in buon ordine dopo essere stato redarguito, si vendicò e poco dopo un agente fiscale della famiglia de Leyva, l’esattore Molteno, venne trovato ucciso da un colpo di archibugio. I sospetti caddero su Gian Paolo Osio che già aveva fama di violento. Per evitare l’arresto fu costretto a fuggire da Monza finché suor Virginia non si convinse a ritirare la denuncia.

Ed è proprio da qui che la storia comincia a dipanarsi e a intricarsi. Il giovane, infatti, riprese a frequentare il giardino con lo scopo di corteggiare proprio Suor Virginia. La signora de Leyva che sulle prime reagì bruscamente, finì poi per lasciarsi incantare dalle lettere abbastanza forbite che lui le scriveva grazie all’aiuto del parroco Paolo Arrigone. Alla fine il corteggiatore riuscì a introdursi nel convento e a raggiungere suor Virginia. La prese con la violenza ma scatenò ugualmente in lei una grande passione da cui fu presto divorata. Nonostante il senso di colpa che sentiva in petto lei stessa reclamava un numero crescente di incontri segreti. Gian Paolo Osio, anche lui innamoratissimo, si fece costruire da un fabbro, che poi dovette eliminare perché divenuto un testimone scomodo, decine di duplicati delle chiavi per entrare in convento. Virginia da lui ebbe due figli, un maschietto nel 1602, morto alla nascita, e una femminuccia nel 1604, di nome Alma, affidata alle cure della madre di lui e che spesso entrava in convento con il giovane padre.

Il cardinal Federigo Borromeo

La loro era divenuta una storia torbida su cui inevitabilmente si era cominciato a mormorare lasciando Virginia nel tormento. Lei tentò in tutti i modi di liberarsi di questa passione ma ne fu completamente soggiogata. La relazione andò avanti finché una conversa di campagna, suor Caterina, maltrattata dalla altezzosa suor Virginia, minacciò di denunciare la tresca. A quel punto Osio la uccise e ne gettò la testa in un pozzo. Gli omicidi iniziati nel 1606 andarono avanti per un po’ allo scopo di mettere a tacere tutti i testimoni scomodi a partire dal fabbro che aveva fatto le copie delle chiavi del convento. Nel 1607 Gian Paolo Osio fu arrestato e imprigionato al Castello di Pavia, su ordine del governatore di Milano. Successivamente fuggì per tornare a Monza dove uccise il farmacista che era scampato al primo tentato omicidio e trovò rifugio presso la chiesa di S. Maurizio per poi rifugiarsi da novembre presso il monastero di Santa Margherita.

La storia intrisa di sesso, omicidi e sparizioni fece esplodere un vero e proprio scandalo che indusse lo stesso cardinale Federico Borromeo ad intervenire per vederci chiaro. Il 25 novembre 1607 il prelato ordinò che Suor Virginia abbandonasse il monastero a Monza per essere portata e rinchiusa presso il monastero di S. Ulderico a Milano e il 27 novembre 1607 iniziò l’inchiesta. Le due monache, complici di Suor Virginia, fuggirono con l’ausilio dell’Osio andando incontro al loro stesso destino. Suor Ottavia troverà la morte per mano dello stesso Osio, Benedetta riuscirà invece a salvarsi. Il 22 dicembre 1607 ebbe inizio l’interrogatorio di Suor Virginia che confessò la relazione avuta con l’Osio e per l’omicidio incolpò lo stesso Osio e don Arrigone. Il 2 gennaio 1608 Osio fu citato in giudizio per i due tentati omicidi e per l’omicidio di Caterina e al contempo per aver cercato di incolpare don Arrigone per l’uccisione del farmacista. Finalmente il 25 febbraio 1608 Osio fu condannato a morte e alla confisca dei beni. Morì assassinato.

Alessandro Manzoni

Il 18 ottobre 1608, a conclusione dell’inchiesta aperta al Monastero, Suor Virginia fu condannata ad una reclusione perpetua presso la casa delle donne convertite di Santa Valeria a Milano, dove venne murata viva in una cella. Il 25 settembre 1622, dopo aver trascorso 14 anni segregata, Suor Virginia manifestò il proprio pentimento e fu liberata. Chiese ripetutamente di incontrare il cardinale Borromeo, inizialmente molto titubante e diffidente sull’autenticità dei sentimenti di Marianna, ma infine la incontrò più volte e credette al suo pentimento. Poi la incaricò anche di scrivere delle lettere per le monache che attraversavano momenti di crisi. Il 17 gennaio 1650 Suor Virginia, ovvero Marianna de Leyva, muore a Milano presso la Casa di S. Valeria.

È una storia di amore, di tormento, di privazioni, di passione e ossessione, di omicidi e di intrighi che lascia tanta tristezza per due anime “dannate”: quella di Marianna, costretta a farsi suora da giovinetta rinunciando all’amore carnal,e e quella di Gian Paolo, che si lascia invischiare in una storia di sesso per una donna destinata alla clausura che non avrebbe mai dovuto desiderare. “La sventurata Monaca di Monza” dal racconto della sua vita é più che mai sventurata come la definisce il Manzoni e forse merita comprensione e pietà. Il suo amante passionale e violento va collocato nel tempo in cui è vissuto e condannato per gli omicidi commessi, non forse per il suo spasmodico desiderio di possedere ciò che è proibito.

Margherita Bonfilio

2 Commenti

  1. Gaetana Giuseppa Figuccia 27 gennaio 2022 at 14:45 - Reply

    Conscevo la storia, ma non in modo così dettagliato.

  2. Sara 9 aprile 2023 at 12:59 - Reply

    La storia della monaca di Monza m’interessa più di qualsiasi altro fatto storico: mi turba e mi attira, nonostante la terribile fine dei vari personaggi. Purtroppo le pene previste all’epoca erano folli, per me inconcepibili. Ho visto su Youtube lo sceneggiato trasmesso alla Rai negli anni ’60, interpretato da Giovanna Ralli e Gabriele Ferzetti (ottimamente doppiati): tutti gli attori sono perfetti e la colonna sonora condisce ogni scena nel modo migliore. Al contrario le interpretazioni recenti sono un disastro, come accade sempre. Stefania Rocca che interpreta Marianna del Leyva é inguardabile: attrice brava, ma totalmente sbagliata per la parte della monaca protagonista. Chi subisce il fascino di questa drammatica storia e possiede un minimo di senso artistico non può certo apprezzare le versioni “moderne”.

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