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La Nona di Beethoven per il Capodanno dei milanesi

di | 2022-01-06T17:54:49+01:00 9-1-2022 6:20|Sezione 5, Spettacolo|0 Commenti

MILANO – Cos’è la gioia? “Freude, bella scintilla degli dei, figlia dell’Elisio, ebbri e ardenti noi entriamo, creatura celeste, nel tuo santuario! I tuoi incantesimi tornano a legare ciò che la moda ha severamente diviso; tutti gli uomini divengono fratelli dove la tua dolce ala si posa”. Dopo un’assenza fin troppo lunga, il Coro Sinfonico e l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi sono tornati per ricordare alla città meneghina che bisogna ripartire dalle tradizioni per potere ricominciare e bisogna farlo Inneggiando alla Gioia. Ricominciare per rialzarsi, riappropriandosi di quegli appuntamenti che scandiscono e brevemente rallentano il tempo di una città veloce come Milano.

Per i milanesi, così come Sant’Ambrogio apre le vacanze natalizie con la prima della Scala, così il Capodanno deve essere celebrato all’Auditorium dalla Nona, nota a tutti per il suo maestoso “Inno alla gioia”. Le suggestive performance della Verdi, con il Concerto di Capodanno, si sono alternate in cinque giornate a cavallo tra un 2021 per molti da dimenticare e un 2022 carico di grandi speranze. Entrare nell’Auditorium, sentire il primo violino Luca Santaniello che dà la nota all’orchestra, meravigliarsi per l’eleganza delle orchestrali in lunghi abiti rossi, deliziarsi delle ricercate composizioni floreali che decorano il moderno teatro e osservare come ogni pezzo del puzzle musicale sembra legarsi prima dell’attacco del maestro, con il suo primo fender d’aria con la bacchetta simile a un fioretto: tutto questo è emozionante. E il maestro Claus Peter Flor, rassicurante e potente nel gesto, ammalia ed emoziona, catturando l’attenzione. Instancabile dalla prima all’ultima nota.

Ma uno spettatore avvezzo alle rappresentazioni della Verdi si accorge subito di un grande vuoto. Dov’è il Coro? Ebbene il Coro, causa covid, sparisce dalla scena, creando sorpresa a chi si aspettava di vederlo incorniciare come di consueto l’Orchestra. E tutti, mentre si avvicina il quarto movimento, dopo tre atti che hanno visto alternarsi suoni romantici e leggiadri ad altri scanditi da una marcia solenne, in un divenire di crescendi e diminuendi quasi in contrasto tra loro, che tengono lo spettatore in uno stato misto di attesa e meraviglia, cercano con lo sguardo il Coro. E poi ecco che entrano i violoncelli, mentre sul palco i solisti Sabina Von Walther (soprano), Sonia Prina (contralto), Patrik Reiter (tenore) e Thomas Laske (baritono) si alzano anticipando con il gesto recitato e cantato, l’annuncio dell’Ode alla Gioia.

Ma dov’è il Coro che inneggia alla Fratellanza? Improvvisamente dall’alto, quasi come un canto celestiale e divino, si ode il “Freude” dei bassi accompagnati dai tenori, gli occhi degli spettatori si sollevano cercando il Coro che improvvisamente appare su grandi schermi e che, stravolgendo la tradizione, canta dalla galleria. La platea si spacca. E qui le scuole si dividono tra chi trova inaccettabile l’assenza del Coro sul palco e chi curioso, insegue con l’orecchio il susseguirsi imprevedibile della Nona. Ed ecco che dall’alto giunge come un’onda la voce del coro che travolge, come uno tsunami sonoro, che risulta ancora più avvolgente e di forte impatto emozionale. Tra il pubblico c’è chi si volta, si legge il desiderio nei visi di volersi sollevare per potere osservare cosa sta succedendo. Il Coro incalza e il miracolo dell’Inno alla Gioia avviene e stupisce, quando gli spettatori si rendono conto che il canto potente e leggiadro viene intonato attraverso le mascherine, addirittura le Fpp2.

Le celestiali note delle soprano e contralti completano i bassi e tenori creando una miscellanea di attese, desideri e speranze, un’invocazione divina che trova il suo palpitar di forte impatto nel “Götterfunken”, ed è proprio come una scintilla degli dei il finale pronunciato con decisione e fede. Una spettatrice, Sebastiana, così commenta la sua prima esperienza all’Auditorium: “L’orchestra dal vivo mi ha emozionato; mi ha colpito il connubio magico tra il silenzio totale della sala, lo stesso che si sente durante una cerimonia sacra, e l’orchestra, tanto vicina da avere la sensazione di esserci immersa dentro. Mi hanno colpito tanto le braccia delle violiniste così potenti ed eleganti in ogni movimento. Gli orchestrali sembravano così sicuri in ogni gesto, i fiati così pieni, le percussioni così decise, da emozionarmi”. E continua: “Pochi posti dopo il mio, c’era un bambino di circa 8 anni che per oltre un’ora non ha proferito parola e ascoltava con attenzione. La musica universale raggiunge anche i più piccoli”. “Lo confesso – conclude – durante gli applausi finali mi sono commossa”.

Antonia, un’appassionata della Nona, aggiunge: “Il coro, che intonava le note dall’alto mi ha sorpreso, così come la forza senza età del maestro, che definirei stacanovista, nel suo volere portare avanti l’Inno. Flor è sempre potente, instancabile, deciso ed elegante nel gesto non solo della bacchetta ma dell’intero corpo. E il coro, poi, è un miracolo come le voci siano giunte con tanta chiarezza e forza, nonostante l’impedimento delle mascherine. Ho apprezzato anche i quattro solisti che hanno completato il quadro con le loro diversità canore. La Verdi non delude mai”. “La Nona di Beethoven – continua – è una Sinfonia forte, gentile che si trasforma in un’esplosione imprevedibile, un delirio di voci e strumenti, è un Tutto. E’ l’espressione della Gioia. Sono felice che sia tornata all’Auditorium”.

La Nona è una delle opere più rivoluzionarie dell’800, colpisce e commuove gli spettatori di tutte le generazioni ormai da due secoli, aspra e celestiale, caratterizzata da un contrasto che unisce lo spirito degli Europei in un’unica tesi eterna: la Gioia Divina.

Alessia Orlando

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