PALERMO – “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”: era il ritornello della canzone “Proposta”, cantata da “I Giganti” al festival di Sanremo del 1967; ritornello che si concludeva con l’invito a non lanciare nel cielo “molecole malate, ma note musicali per una ballata di pace”. Non fiori nei cannoni, ma meno soldi per le armi: è l’appello molto più concreto presentato all’ONU qualche settimana fa da cinquanta scienziati di tutto il mondo insigniti con il premio Nobel: tra essi, gli italiani Giorgio Parisi e Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica nel 2021 e nel 1984.
Nella richiesta, gli scienziati evidenziano che “la spesa militare, a livello globale, è raddoppiata dal 2000 ad oggi, arrivando a sfiorare i duemila miliardi di dollari statunitensi all’anno. Inoltre, è in aumento in tutte le aree del mondo. I singoli governi sono sotto pressione e incrementano la spesa militare per stare al passo con gli altri Paesi. Il meccanismo della controreazione alimenta una corsa agli armamenti in crescita esponenziale, il che equivale a un colossale dispendio di risorse che potrebbero essere utilizzate a scopi migliori.” Nell’appello sottolineano poi come in passato la corsa agli armamenti sia stata la causa dello scoppio “di guerre sanguinose e devastanti”.
Ecco allora, nel suo immenso e sostanziale buonsenso, la “semplice proposta per l’umanità” delle eccellenze scientifiche mondiali: “Che i governi di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnino ad avviare trattative per una riduzione concordata della spesa militare del 2 per cento ogni anno, per cinque anni. La nostra proposta si basa su una logica elementare: le nazioni nemiche ridurranno la spesa militare, e così facendo rafforzeranno la sicurezza dei rispettivi Paesi, pur conservando l’equilibrio delle forze e dei deterrenti. L’accordo siglato servirà a contenere le ostilità, riducendo il rischio di futuri conflitti. Enormi risorse verranno liberate e rese disponibili, il cosiddetto «dividendo della pace», pari a mille miliardi di dollari statunitensi entro il 2030”.
Gli scienziati fautori della proposta si preoccupano anche di indicare come impiegare le enormi risorse risparmiate: “La metà delle risorse sbloccate da questo accordo verrà convogliata in un fondo globale, sotto la vigilanza delle Nazioni Unite, per far fronte alle istanze più pressanti dell’umanità: pandemie, cambiamenti climatici e povertà estrema. L’altra metà resterà a disposizione dei singoli governi. Così facendo, tutti i Paesi potranno attingere a nuove e ingenti risorse”.
L’appello si conclude così: “La storia dimostra che è possibile siglare accordi per limitare la proliferazione degli armamenti: grazie ai trattati Salt e Start, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno ridotto i loro arsenali nucleari del 90 percento dagli anni Ottanta ad oggi. I negoziati da noi proposti avranno una buona possibilità di successo, perché fondati su un ragionamento logico: ciascun attore sarà in grado di beneficiare dalla riduzione degli arsenali del nemico, e così pure l’intera umanità. In questo momento, il genere umano si ritrova ad affrontare pericoli e minacce che sarà possibile scongiurare solo tramite la collaborazione. Cerchiamo di collaborare tutti insieme, anziché combatterci”.
Niente da aggiungere a un appello così illuminato e profetico; lanciato, con accenti simili, da papa Francesco nella lettera “Fratelli tutti” e ribadito nel suo messaggio in occasione della giornata della Pace del 1° gennaio.
Si spera che, per una volta nel mondo – “l’aiuola che ci fa tanto feroci”, per dirla con un verso del sommo Dante Alighieri – chi tiene le redini del potere ascolti la voce lungimirante e accorata dei cinquanta saggi e del papa. E imbocchi l’unica via possibile di sviluppo: quella di una convivenza di pace tra i popoli.
Maria D’Asaro
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