ROMA – Come un serpente che si morde la coda, il 2021 se ne va concludendo un ciclo che è destinato ad iniziare di nuovo, senza soluzione di continuità, dal primo giorno di gennaio. Sistematicamente, il Capodanno concluderà una storia che si ripete da sempre, scandita da ritmi mai interrotti: stagioni, mesi, settimane, giorni e via dicendo in un avvicendarsi senza fine che si chiama “tempo”. L’anno è, dunque, un ciclo che, come tale, ha un inizio e una fine la quale diventa, a sua volta, un nuovo inizio. Non a caso la sua immagine è circolare come il serpente che si morde la coda, un simbolo ancestrale detto anche “uroboro”.
Già gli antichi Egizi lo utilizzavano per riferirsi all’andamento ripetitivo della natura da sempre e per sempre. Orapollo, scrittore del IV-V secolo d.C., affermava che il serpente “faccendo ogni anno mutamento del mondo, diviene giovane”, essendo esso l’espressione dell’evoluzione e di una perenne trasformazione. Un simbolo niente affatto negativo, dunque, foriero di vitalità nonostante il fatto che un animale che mangia se stesso, richiamando la decomposizione, sembri portare male. In realtà il significato intrinseco a questa immagine è che il nuovo sia migliore del vecchio come, appunto, ogni anno che inizia nei confronti del quale abbiamo in serbo molte aspettative.
Una storia antica, dunque, che è entrata nella nostra mentalità anche come tradizione gastronomica e per questo, non a caso, il 31 dicembre specialmente al sud, su ogni tavola che si rispetti si mangiano l’anguilla o il capitone che richiamano entrambi la forma del serpente e ai quali si taglia la testa, consapevolmente o no, per interrompere la catena del male legato all’anno vecchio. Virgilio e Seneca, scrittori romani vissuti a cavallo tra l’epoca pagana e quella cristiana, parlavano di riti propiziatori legati ai serpenti che venivano tagliati e fatti a pezzi per ottenere la benevolenza degli dei. Con il tempo il rituale si è trasformato in un piatto da gustare dopo aver simbolicamente tagliato la bestia a pezzi e averla cucinata a puntino. Anche a tavola, quindi, dove è implicito l’avvicendarsi delle fasi della natura (gli antichi esortavano a mangiare sempre frutti e ortaggi di stagione), siamo scaramantici e teniamo conto della necessità, quando è il caso, di “darci un taglio” e cambiare direzione alla nostra vita.
L’uroboro ci ricorda ciò che bisogna fare quando le cose vanno male: interrompere di netto la strada sempre percorsa perché perseverare – come si dice – non è saggio, anzi, è diabolico. Per tutte queste considerazioni e con maggiore consapevolezza, auguri per una buona fine e un buon inizio.
Gloria Zarletti
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