PERUGIA – Per alcuni anni, agli inizi del Quattrocento, Perugia visse nell’orbita del ducato di Milano e del suo signore, Gian Galeazzo Visconti. Di più, anzi: il 21 gennaio 1400 il Visconti fu proclamato ufficialmente “Signore di Perugia“ per volontaria dedizione della città. E lui, alla ambasceria dei Dieci, che Perugia gli aveva inviato, rispose togliendo via gabelle e debiti ai perugini. Niente di nuovo sotto il sole. A queste decisione la città era giunta in seguito alla uccisione di Biordo Michelotti (congiura consumata nel 1398), capo dei Raspanti. Per evitare che i Beccherini (il partito contrapposto, guidato dalla nobiltà) rialzassero la cresta, anche su proposta del fratello dell’ucciso, Ceccolino Michelotti, pure lui valido condottiero, la città si offrì al Duca di Milano.
Quando il Visconti spirò, il 3 ottobre del 1402, tra i suoi numerosi titoli figurava, appunto, anche quello di “Signore di Perugia”. Una decina di anni prima, nel capoluogo umbro, era stato indetto, come a Milano in verità, un Giubileo perpetuo. E nonostante il cambio del regime (retto fino al 1393 dai Beccherini e da quell’anno dai Raspanti) il cantiere di San Domenico, con il quale si inglobava Santo Stefano del Castellare, era in fermento. Nella vittoriosa battaglia di Alessandria contro i francesi (il 25 luglio del 1391) a fianco del Visconti militavano anche le truppe perugine di Biordo Michelotti (che affrontarono le armate del Duca di Armagnac) e quelle di un altro famoso condottiero: il veronese Jacopo Del Verme. Il Duca nutriva una particolare devozione per San Giacomo e quando i perugini gli inviarono una supplica con la quale gli chiedevano l’autorizzazione al completamento del tempio dominicano, chiesa giubilare, Gian Galeazzo acconsentì e forse, protettore delle arti come era, aggiunse anche una somma di denaro.
La vetrata del Duomo di Milano (più tarda rispetto alla umbra) e quella di San Domenico a Perugia risultano molto somiglianti e non solo nelle misure: 23 metri di altezza per 8 di larghezza, quella perugina; 22 metri e 50 per 11 quella milanese. La splendida vetrata perugina è opera di Pietro di Nardo e Bartolomeo di Pietro di Vanni. Fino ad oggi il committente principale era stato indicato nel ricco banchiere perugino Matteo di Pietro Graziani, anche lui della fazione popolare dei Raspanti, il cui palazzo in corso Vannucci è lo stesso in cui oggi si è insediata Unicredit. E’ sicuro che il Graziani rivestì nella vicenda un ruolo primario (figurava anche nella ambasceria dei Dieci ricevuta da Gian Galeazzo Visconti per la dedizione della città). E fino ad oggi si era ritenuto che la testa dipinta nella parte bassa, a destra della decapitazione di San Giacomo e dello scriba Iosia, rappresentasse proprio il Graziani.
Il ricercatore Alberto Maria Sartore dell’Archivio di Stato avanza, invece, l’ipotesi che si tratti di Gian Galeazzo, con indosso il tradizionale mantello rosso e il colletto a calice abbottonatissimo attorno al collo. Sartore giunge a questa conclusione mettendo a raffronto la figura della vetrata e il ritratto di Gian Galeazzo opera di Gentile da Fabriano: la somiglianza è netta, fortissima. In pratica, morto il Duca e allentatatisi i rapporti con Milano (la Signoria su Perugia si era conclusa nel 1403) – questa l’interpretazione del Sartore – il Graziani avrebbe “piegato” alla propria figura e ad onore della propria casata l’immagine della vetrata, i cui lavori furono completati nel 1411. I Graziani, d’altronde, non solo avevano posto i loro stemmi nella vetrata absidale, ma anche una delle cappelle in san Domenico era intestata proprio a loro. A testimonianza del ruolo politico ed economico in città di questa famiglia, potente e ricca.
Lo studio di Sartore contribuisce dunque a riportare all’attenzione una parte di storia della città (i Raspanti lasciarono il potere ai Beccherini, con il sorgere della stella possente di Braccio Fortebraccio da Montone, che rientrò a Perugia, col titolo di Signore, dopo la vittoriosa battaglia di Sant’Egidio del 1416), la fortuna dell’ordine Domenicano in Perugia e l’ampliamento di San Domenico quale chiesa giubilare e il culto a San Giacomo di Compostella (è attestato che un cavaliere nel 1400 fu inviato nel santuario in Galizia, con una donazione per la salvezza della propria anima, di tale Angelo di Leggero di Nicoluccio), ma anche a recuperare la figura di Matteo di Pietro Graziani, che tanta parte ricoprì, a cavallo degli anni Trecento e Quattrocento, nella vita della città. Sempre lui, per esempio, risulta tra i promotori e benefattori dell’Hospitalis Sancti Iacobi Artis Cambii (ospedale dei pellegrini di San Giacomo).
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, la splendida chiesa di San Domenico a Perugia
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