PALERMO – Si deve al palermitano Pio La Torre l’idea vincente di introdurre nel nostro ordinamento giuridico una legge che prevedesse il reato di “associazione di tipo mafioso” e la confisca dei beni frutto dei traffici illegali. Pio La Torre, politico e sindacalista assai stimato per il suo impegno sociale e la sua lotta a Cosa nostra, venne assassinato a Palermo, per ordine della cupola mafiosa, il 30 aprile 1982: la sua proposta di legge fu promulgata dopo il suo brutale assassinio, il 13 settembre 1982. Dal 1982 a oggi, a 31 anni dalla legge n.646 nota ormai come “Legge Rognoni-La Torre”, si contano più di 36.000 proprietà immobiliari e circa 3000 aziende sottratte alla criminalità organizzata. La maggior parte dei beni confiscati si trova nelle regioni che hanno avuto la maggiore presenza sul territorio di associazioni criminali: la Sicilia, la Calabria e la Campania. La Sicilia ne detiene il primato, con ben il 40% circa dei patrimoni sequestrati.
Alla legge Rognoni-La Torre è seguita nel 1996 la legge n.109, che ha sancito il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati; nel 2010 è stata poi istituita l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC). Nonostante tale impegno legislativo, al 15 aprile 2021 sono stati consegnati e fruiti per finalità istituzionali e sociali solo circa 17.000 immobili, vale a dire poco meno della metà del totale dei beni confiscati. In Sicilia la percentuale di beni tornata alla fruizione collettiva scende al 45%; mentre sul fronte delle aziende, delle quasi 800 sottratte nell’isola a Cosa nostra, ne sono state rese attive soltanto 40.
Varie ragioni rendono difficile il recupero totale dei beni sottratti alla criminalità; in primo luogo, il fatto che molti immobili presentano varie forme di criticità come quote indivise, irregolarità urbanistiche, occupazioni abusive e condizioni strutturali precarie. C’è poi da sottolineare le difficoltà operative da parte dei Comuni, destinatari di oltre l’80% dei beni confiscati: ai Comuni spetta infatti promuoverne il riuso coinvolgendo la cittadinanza, anche attraverso la pubblicità dei dati sui propri siti istituzionali, come previsto dall’articolo 48 del Codice antimafia. Secondo RimanDati, un report dell’associazione Libera, su 1076 Comuni italiani monitorati, solo 406 hanno pubblicato l’elenco degli immobili confiscati. I più inadempienti riguardo alla trasparenza sono proprio i Comuni medio-piccoli e piccoli, che possiedono minori risorse, ma si trovano a gestire più di un terzo del totale dei beni.
Ad impedire l’assegnazione e la piena fruizione da parte della collettività dei beni confiscati concorrono anche la scarsa capacità di spesa dei Comuni e i tempi lunghi dell’iter burocratico necessario per le varie concessioni.
Ad esempio, a Buonfornello, in provincia di Palermo, una vasta proprietà costituita da un villaggio turistico versa in stato di abbandono in quanto il Comune di Termini Imerese, al quale l’area è stata assegnata, non ha i fondi necessari per ristrutturarla. A Palermo, il liceo “Danilo Dolci”, per problemi burocratici, non può ancora fruire di 2000 mq di magazzini confiscati alla mafia e consegnati da tempo all’Istituto: “Manca solo il cambio di destinazione d’uso”, afferma il dirigente dell’Istituto, professore Matteo Croce, che lamenta la mancata consegna di uno spazio vitale per la scuola, costretta a fare i conti con la carenza di locali.
Per far fronte a questi ostacoli, il prefetto Bruno Corda, attuale direttore dell’ANBSC, in un recente incontro organizzato a Trapani in occasione dei 30 anni dall’istituzione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), ha proposto la creazione di una diversa piattaforma per le assegnazioni dei beni confiscati ai Comuni, piattaforma che permetta agli Enti locali di avere maggiori potenzialità di accesso a fondi che consentano loro di ristrutturare i beni loro assegnati: troppo spesso infatti i Comuni più piccoli necessitano di percorsi di formazione/informazione per comprendere il valore del riutilizzo sociale dei beni e per potere utilizzare fondi nazionali ed europei.
Papa Francesco, nel settembre 2017, ricevendo per la prima volta in udienza la Commissione parlamentare Antimafia, ha sottolineato che “l’Italia dev’essere orgogliosa della propria legislazione contro la mafia, e in particolare dei beni confiscati alle mafie e riconvertiti a uso sociale”. Beni che, ha continuato papa Francesco, possono diventare “palestra di vita”, soprattutto se si qualificano come beni comuni, accessibili, cooperativi, finalizzati ai bisogni della comunità e alla tutela del patrimonio ambientale.
Maria D’Asaro
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