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Cop 26, buoni propositi e pochi impegni veri

di | 2021-11-18T18:05:02+01:00 21-11-2021 6:15|Attualità, Sezione 4|0 Commenti

RIETI –  Tra il G20 e la COP 26, ancora una volta la montagna ha partorito il topolino. Il documento conclusivo della XXVI conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici mostra luci e ombre. Più ombre che luci, secondo il comunicato dell’associazione culturale Greenaccord, che non nasconde la delusione, pur rilevando “principi condivisibili di indirizzo generale”. Leggendo bene fra le righe,  il documento non convince e mostra tutte le sue contraddizioni tra cosa fare e come andrebbe fatto, tra cosa invece si sta facendo concretamente. “Ancora una volta decisioni e impegni vengono rimandati all’anno prossimo auspicando che nel frattempo vengano messi a punto quei meccanismi di verifica, controllo e coerenza delle azioni concrete proposte dai singoli Stati” sottolinea il direttore scientifico Andrea Masullo, soprattutto in relazione al documento finale, il “Glasgow Climate Pact”.

Le dichiarazioni di intenti si tradurranno in azioni concrete? Questo è il problema ed è lo stesso documento finale che dimostra l’impossibilità che ciò avvenga, considerando che, a causa delle attività umane, le temperature sono già oggi aumentate di 1,1°C e che gli impatti saranno molto minori se l’aumento sarà mantenuto al di sotto di 1,5°C. Dopo questa affermazione, il documento prosegue sostenendo che “per raggiungere tale obiettivo bisogna ridurre del 45% le emissioni di gas serra entro il 2030”. Ma il trend attuale delle emissioni “mostra un aumento che ci porta verso scenari di crescita delle temperature intorno ai 2°C entro il 2050 e ben oltre il 2,5°C entro la fine del secolo – sottolinea Masullo – Questa realtà rende al limite dell’impossibile il mantenimento dell’obiettivo di 1,5°C. Se è vero che per la prima volta un testo della COP parla di combustibili fossili, è anche vero che le conclusioni hanno dovuto recepire le indicazioni della Cina, dell’India e dell’Arabia Saudita, tendenti a rendere meno prescrittivo il processo di abbandono dell’uso di queste fonti energetiche”.

Andrea Masullo di Greenaccord

Nel documento, infatti, l’eliminazione accelerata dei sussidi ai combustibili fossili si applica solo a quelli “inefficienti”, mentre l’abbandono del carbone vale solo per i progetti “unabated”, cioè quelli che non prevedono la cattura e lo stoccaggio delle emissioni di anidride carbonica. Il limite dell’impossibile viene negativamente superato dal colpo di scena finale: la sostituzione dell’uscita dal carbone con il termine “riduzione dell’uso del carbone” senza che sia definita nemmeno una road map, né date, né tappe di avvicinamento. L’India ha preso posizione sulla riduzione del carbone di cui dispone in abbondanza, necessario per sostenere i fabbisogni di una popolazione che in gran parte vive in condizioni di grande povertà. “Ma le contraddizioni non si esauriscono qui – continua Masullo – proprio riguardo al sostegno dei paesi poveri non si è andati oltre un ‘profondo disappunto’ per il mancato rispetto dell’impegno preso a Parigi di mettere a disposizione 100 miliardi di dollari l’anno a partire dal 2020”.

Anche sulla “Forest Declaration” con gli impegni a conservare ed ampliare le foreste mondiali, c’è parecchio da obiettare: “Facciamo notare che ciò mira a compensare le emissioni che non si intendono evitare, mentre per mantenere accesa la speranza di poter ancora limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, l’assorbimento forestale dovrebbe essere speso come una carta aggiuntiva. Ricordiamo che ad oggi le grandi foreste del pianeta sono soggette ad un rapido degrado e diminuzione a causa degli incendi e delle attività umane che hanno reso l’Amazzonia un emettitore e non un assorbitore di CO2”.

Positiva, invece, l’adesione dell’Italia, benché ad un livello poco impegnativo, ma solo con lo status di “amico” alla BOGA-Beyond Oil&gas Alliance, un’intesa che mette in programma lo stop alle licenze e alle concessioni per nuove esplorazioni di giacimenti di petrolio e gas, per arrivare alla “carbon neutrality” entro il 2050. “Questa adesione avviene in un periodo in cui non appare ancora chiara la strategia del MITE (Ministero della Transizione Ecologica). Inoltre, le numerose uscite contraddittorie di questi ultimi mesi non rendono ancora chiaro il percorso, il punto di approdo e la coerenza con gli impegni per il clima della transizione”. La classe politica, come afferma anche papa Francesco, continua a non rivelarsi all’altezza delle nuove sfide globali.

“Complessivamente, da Cop26 emerge un quadro inquietante ed incoerente che, dopo 26 anni di risultati ampiamente inadeguati agli obiettivi, fa dubitare se una classe politica, figlia di quel modello di sviluppo che si intende cambiare, sia davvero in grado di recidere le radici su cui siede. Forse è giunto il momento che altri stakeholder prendano in mano la situazione in modo da trainare la politica ad assumersi le proprie responsabilità con maggior coraggio. Ci riferiamo al mondo della finanza e dell’industria green, ai rappresentanti delle amministrazioni locali e della società civile, il cui coinvolgimento è genericamente evocato anche nel Patto di Glasgow” conclude Masullo.

Il geologo Mario Tozzi

Come hanno commentato molti esperti e divulgatori scientifici, che da decenni mettono in guardia sulla necessità di invertire la rotta, il geologo Mario Tozzi ha spiegato con molta semplicità le difficoltà della politica. “Noi abbiamo conosciuto l’espansione, il progresso, le comodità: i cinesi e gli indiani ancora no, men che mai i popoli africani. E se anche i cinesi volessero una macchina a testa come noi, anziché continuare ad andare in bicicletta? Non sarà certo la politica a dirgli che non può, anche loro hanno diritto alla loro fetta di benessere. Noi che abbiamo goduto dei benefici del progresso dovremmo essere i primi a fare un passo indietro per permettere a loro di conoscere il nostro stesso sviluppo, facendoci carico della quota di riduzione di emissioni”. Al di là di un imprenditore illuminato, di una finanza che favorisce finanziamenti a imprese veramente green, il cambiamento lo potrà fare molto più concretamente ognuno di noi nelle scelte quotidiane, anche piccole, ma costanti: niente più bottiglie di acqua minerale, a meno che non sia strettamente necessario, meno carne, niente acquisti online ma negozi di prossimità, riduzione degli imballaggi, usare meno la macchina per piccoli spostamenti, permettere ad agricoltori e allevatori di fare vendita diretta. Si fa politica anche facendo la spesa, il mercato indirizziamolo noi anziché farci indirizzare, perché il tempo sta per scadere e ce lo sta dicendo il pianeta stesso.

Francesca Sammarco

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