//Il militare sconosciuto, simbolo dell’identità

Il militare sconosciuto, simbolo dell’identità

di | 2021-11-06T13:20:23+01:00 7-11-2021 7:00|Punto e Virgola|0 Commenti

Il colonnello Giulio Douhet nel 1918 aveva lasciato polemicamente e definitivamente l’Esercito. Aveva 57 anni e alle spalle 37 anni di carriera brillante, ma costellata di diversi “incidenti”, dovuti sia al carattere un po’ irruento, sia soprattutto alle sue idee (assai innovative per quei tempi) che spesso lo avevano messo in conflitto con i suoi superiori. Era nato per caso a Caserta dove il padre, di origini savoiarde, era stato trasferito in quanto ufficiale farmacista. Aveva frequentato l’Accademia di Modena, dalla quale era uscito con il grado di sottotenente dei bersaglieri e contemporaneamente aveva frequentato il Politecnico di Torino dove si era laureato in Ingegneria.  Nel 1911, durante la guerra italo – turca per il controllo della Libia, gli venne assegnato il compito di scrivere un rapporto sull’uso dell’aviazione da guerra. In esso teorizzò che l’unico uso efficace era il bombardamento da alta quota. In effetti, il primo impiego bellico di aeroplani della storia fu condotto dagli italiani nel corso di quel conflitto e il primo bombardamento fu messo in pratica il 1º novembre 1911 dal Battaglione specialisti del Genio, che bombardò le posizioni turche di Ain Zara.

La bara del Milite Ignoto

Per farla breve, Douhet era uno dei pochissimi esperti dell’epoca di questioni aeronautiche, tanto che l’anno successivo, promosso maggiore, divenne comandante del Battaglione Aviatori con reparti di aeroplani e scuole di volo presso l’ Aeroporto di Torino  – Mirafiori. In quello stesso anno promosse un’iniziativa per la raccolta di tutti i cimeli aeronautici militari italiani che si erano accumulati dal 1884, epoca dei primi aerostieri del Genio.

Il generale Giulio Douhet

Furono proprio le competenze e la passione per il volo (ma non aveva preso il brevetto di pilota) a creargli problemi. Scrisse uno dei primi manuali sull’uso degli aeroplani in guerra, ma le sue teorie furono giudicate troppo radicali. Nella seconda metà del 1914, Douhet si assunse la responsabilità di far avviare alla Caproni la costruzione del grosso bombardiere trimotore Ca.31, malgrado il parere contrario del generale Moris, ispettore dell’Aeronautica. Per questo atto privo di autorizzazione venne allontanato dall’aviazione e destinato alla Fanteria, con l’incarico di Capo di stato maggiore della 5ª Divisione di Milano: allo scoppio della prima guerra mondiale, fu inviato al fronte sull’Adamello.

Douhet cominciò a invocare un massiccio investimento nella costruzione di aerei da bombardamento, per ottenere il controllo dell’aria e privare il nemico delle difese. Scrisse ai superiori e ai vertici politici per promuovere le proprie idee e criticare l’incompetenza in materia degli alti comandi. L’atteggiamento critico riguardo alla conduzione della guerra da parte del generale Cadorna, gli procurò l’ostilità delle alte gerarchie. Un memoriale diretto a Leonida Bissolati (uno dei fondatori del Partito socialista in Italia), assai critico verso lo Stato Maggiore, venne intercettato e ne conseguirono l’arresto e un processo militare per diffusione di notizie riservate. Douhet venne condannato a un anno di carcere, che espiò nel Forte di Fenestrelle e al termine, nell’ottobre 1917, posto in congedo. Fu richiamato in dicembre in servizio come capo della neo costituita direzione generale di Aviazione del Ministero delle armi e munizioni nel dicembre 1917, ma lasciò di nuovo polemicamente il servizio il 4 giugno del 1918, quando entrò in conflitto con un dirigente dell’Ansaldo su questioni relative alle commesse, chiudendo di fatto la sua carriera nell’esercito.

Maria Bergamas

Nel 1920, mentre era in congedo, fondò l’Unione nazionale ufficiali e soldati e, sulla scorta di analoghe iniziative già attuate in Francia e in altri Paesi coinvolti nella “Grande Guerra”, propose di erigere monumenti ai caduti della “Grande Guerra” in ogni città e di onorare i caduti italiani le cui salme non erano state identificate, con la creazione di un monumento al Milite Ignoto a Roma, presso il Vittoriano. Intanto il Tribunale supremo di Guerra e Marina nel novembre 1920 aveva annullato la condanna del 1916: per questo fu reintegrato in servizio con il grado di maggiore generale e posto in aspettativa.

Insomma, si deve a lui il merito di aver spinto per la creazione di un monumento a perenne memoria delle vittime di quel tremendo conflitto. Stime credibili individuano il numero di morti complessivi fra 15 e 17 milioni, con oltre 20 milioni di feriti e mutilati. L’Italia contribuì al tristissimo conteggio con 650mila caduti: generazioni letteralmente spazzate via. La proposta di far nascere il Monumento al Milite Ignoto fu concretizzata dal presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, il cui governo restò in carica appena 7 mesi (luglio 1921 – febbraio 1922).

Come si arrivò ad individuare il corpo di quel soldato sconosciuto che doveva rappresentare tutti i morti di quella guerra? Non una salma qualunque ma quella scelta da Maria Bergamas, a rappresentare il figlio Antonio, arruolatosi come volontario nell’esercito italiano e morto sull’Altipiano di Asiago. Maria era nata a Gradisca di Isonzo come suo figlio Antonio, nato il 19 ottobre 1891, ma si trasferì poi a Trieste. Al tempo la città era parte integrante dell’impero austro-ungarico e per questo il giovane fu iscritto nelle liste di leva dell’esercito austriaco, fino a quando nell’ottobre 1914 disertò e dopo aver varcato il confine illegalmente si unì all’esercito italiano. Vi combatté sino al 16 giugno 1916 quando, in qualità di tenente, fu ucciso sul campo sul monte Cimone di Marcesina.

La sua salma, riconosciuta grazie a un biglietto che lo stesso Antonio aveva nascosto nelle tasche della sua divisa, fu riconosciuta e sepolta assieme agli altri caduti nel cimitero di guerra di Marcesina sull’Altipiano dei Sette Comuni che poi andò distrutto, e le salme disperse. In una cerimonia che si tenne il 28 ottobre 1921 nella basilica patriarcale di Aquileia, Maria Bergamas fece la sua scelta: vestita del suo scialle nero, passò accanto a ogni bara fino a quando, giunta dinanzi alla decima, urlò il nome del figlio, accasciandosi al suolo. Secondo la testimonianza della figlia Anna, la madre avrebbe voluto scegliere l’ottava o la nona bara, perché erano i numeri che lei associava alla nascita e alla morte di Antonio, ma dinanzi a quelle bare non riuscì a proferire parola e così scelse la decima affinché il simbolo diretto a Roma fosse davvero un soldato ignoto. La donna divenne così la madre spirituale del Milite Ignoto, simbolo di quelle mamme che avevano perso un figlio nella Grande Guerra.

Il presidente Mattarella rende omaggio al Milite Ignoto

Il giorno dopo la salma fu stata traslata a Roma: un viaggio in treno iniziato da Aquileia il 29 ottobre alle 8 e terminato al Vittoriano il 2 novembre. Cinque giorni e ottocento chilometri con tappe a Venezia, Bologna, Arezzo, Roma Portonaccio e Roma Termini; in migliaia durante il tragitto avevano reso omaggio alla salma. Ad attendere il convoglio alla stazione Termini la mattina del 2 novembre c’erano il re Vittorio Emanuele III e il presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi. Il corteo delle autorità accompagnò il feretro nella basilica di Santa Maria degli Angeli dove restò anche il 3 novembre, ricevendo l’omaggio di una folla ininterrotta. In piazza Esedra la bara fu benedetta dal vescovo Angelo Bartolomasi e poi portata all’interno della basilica dove rimase fino al 4 novembre. Quella mattina, infatti, avvenne la solenne cerimonia della traslazione del Milite Ignoto al Vittoriano: alle 9.30 la bara fu portata a spalla alla tomba e sepolta, accompagnata dal saluto militare.

Maria Bergamas morì a Trieste il 22 dicembre 1953 all’età di 86 anni. Il generale Douhet, invece, era morto nel 1930 colpito da un infarto, mentre coltivava rose nel suo giardino: a lui è intitolata dal 2006 la Scuola Militare Aeronautica di Firenze.

Da quel 4 novembre 1921, il Milite Ignoto è diventato uno dei simboli dell’identità nazionale: l’anonimato della salma ha saputo trasformare il dolore del singolo in dolore collettivo, nel lutto di tutti. Non dimenticando mai, però, che la guerra non è mai una soluzione, piuttosto è essa stessa il problema.

Buona domenica.

Lascia un commento

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi