NUORO – Forse non molti lo ricorderanno, ma Angelo Licheri è stato un eroe che con tenacia e caparbietà, nel lontano 1981, si calò in uno stretto e angusto pozzo per salvare la vita ad un piccolo bambino di appena 7 anni, Alfredino Rampi. Qualche giorno fa ci ha lasciato, è morto a causa di una lunga e dolorosa malattia che lo aveva colpito da tempo. Angelo Licheri era originario di Gavoi, piccolo paese della provincia di Nuoro. Aveva 77 anni e da otto si trovava in una casa di riposo a San Giuseppe a Nettuno, dove ha trascorso l’ultimo periodo della sua vita.
Licheri, divenuto noto come “l’uomo ragno”, il 10 giugno di quarant’anni fa si offrì per calarsi nel pozzo artesiano di Vermicino, nel tentativo di salvare il piccolo Alfredino Rampi che in una assolata giornata estiva, sotto la calura, si era allontanato dalla casa dei nonni per giocare all’aria aperta. L’Italia per giorni rimase incollata davanti agli schermi delle tv per seguire, passo dopo passo, le operazioni di soccorso, nella speranza di veder riemergere dalla terra il corpo stremato del bimbo. La voce straziante di Alfredino che chiamava la madre o si lamentava per i morsi della fame risuonava forte e chiara grazie a un microfono che la Rai aveva calato nel pozzo tramite una fune. Le opere di trivellamento del pozzo, però, avevano fatto sì che Alfredino scivolasse ancora più in profondità, rendendo necessario un intervento immediato che esulasse i protocolli di sicurezza. Il pozzo presentava un’imboccatura molto stretta e una profondità di 80 metri. Aveva pareti irregolari e frastagliate.
Dopo molti tentativi di estrarre il bambino si decise si scavare un pozzo parallelo per collegarlo a quello artesiano, ma era ormai troppo tardi e il bambino non era più nella posizione originaria perché le vibrazioni della trivella lo avevano fatto scivolare in profondità. L’unica possibilità era trovare qualche volontario disposto a calarsi nel pozzo per raggiungere il piccolo Alfredino che, ora dopo ora, perdeva forza, energia e speranza di rivedere la luce del sole. La sua voce divenne sempre più flebile e questo scosse il cuore di parecchie persone. Tutta l’Italia faceva il tifo per lui ed era disposta in qualsiasi modo ad accorrere in suo aiuto. Il primo a tentare di entrare nello stretto e buio cunicolo fu uno speleologo. Tentò di introdursi da un cunicolo orizzontale, senza però riuscirci. Fu allora che, come volontario, si presentò Angelo Licheri. A quel tempo aveva 36 anni e lavorava per una tipografia. Aveva una corporatura esile, e ciò permise di calarlo a testa in giù nel pozzo. Era la notte tra venerdì 12 e sabato 13 giugno 1981.
Gli venne legata una corda alle caviglie e sistemata una torcia elettrica sulla testa. Angelo riuscì a raggiungere il bambino, parlò con lui rimanendo nel pozzo per 45 minuti, sebbene si affermasse che la soglia massima di sicurezza in quella posizione fosse di soli 25 minuti. Tentò in ogni modo di recuperare il corpo del piccolo Alfredino, allacciandogli l’imbracatura per tirarlo fuori dal pozzo, ma il moschettone dell’imbracatura che gli avevano fatto indossare cedette e si sganciò. Cercò allora di prenderlo di peso, ma ogni tentativo fu vano, tentò persino di prenderlo per le mani, che più e più volte sfiorò, ma quando fu in grado di afferrarlo per i polsi gliene ruppe involontariamente uno. Il bambino continuava a scivolare a causa del fango che lo ricopriva. Ci volle parecchio perché Angelo si desse per vinto, ma alla fine, stremato dalla fatica, rinunciò all’ingrato compito e tornò in superficie piangendo a dirotto per la disperazione.
La voce di Alfredino non si sentiva più e lui era affranto dal dolore per non essere riuscito a salvare quel piccolo angelo che stava a pochi passi da lui. In superficie gli venne prestato soccorso e fu trasportato d’urgenza in ospedale. La mattina del 13 giugno, dopo oltre 60 ore dalla caduta, Alfredino venne dichiarato morto. Il bambino però non è mai stato dimenticato e Licheri ha più volte parlato di quell’esperienza sui giornali e in televisione.
Spesso i ricordi di quella esperienza sono riaffiorati nella mente di Angelo Licheri facendolo sobbalzare e incupendolo. “A Vermicino ci sono tornato chissà quante volte… – aveva detto tempo dopo –. Perché non sapevo come liberarmi di quel brutto sogno. Il pozzo alle spalle, e quando mi giravo c’era sempre quel buio, e mi svegliavo freddo come un morto”.
Angelo era un uomo semplice, umile e molto generoso. È stato un eroe sprezzante del pericolo. Sapeva di mettere a repentaglio la propria vita calandosi nel pozzo artesiano ma volle farlo lo stesso, animato dal forte desiderio di liberare il bambino terrorizzato dal buio, dalla solitudine, inghiottito dalla terra e dal fango. Malato di diabete, anni fa gli avevano dovuto amputare anche la gamba destra. Era amorevolmente assistito da Mary, seconda moglie kenyota, e dai tre figli. “Il suo esempio di altruismo e di eroica generosità – dice il presidente della Regione Sardegna Solinas – ci rende orgogliosi come sardi e resterà vivo nei nostri cuori, così come il ricordo della piccola vittima della tragedia. Sono certo che Alfredino lo abbia accolto in cielo, con quell’abbraccio che purtroppo, quel giorno, non fu possibile”.
E tutti noi vogliamo ricordarlo così, come un uomo dal cuore immenso, disponibile verso il prossimo, disposto a dare la sua vita per gli altri.
Virginia Mariane
Bello e commovente