PIETRALUNGA – Si è spento domenica 10 ottobre, alle soglie dei cento anni, l’ultimo partigiano combattente della Brigata Proletaria d’urto San Faustino. Il ragionier Luigi Fiorucci (1924-2021), per molti decenni, è stato ragioniere capo del Comune di Gubbio ed in Alta Umbria – e non soltanto – lo conoscevano e stimavano tutti. Lascia la moglie ed un figlio.
Fiorucci era nato in un’ala del palazzo di famiglia, sulla piazza centrale di Pietralunga, una parte del quale i suoi genitori avevano, successivamente, venduto per permettere al figlio di affrontare il percorso di studi. Il 13 luglio del 1944, appena ventenne, Fiorucci – che aveva aderito già da alcuni mesi alla lotta partigiana – si trovava acquartierato con i compagni nell’edificio della scuola elementare di Pietralunga. Le ore precedenti si erano rivelate particolarmente dure e stressanti in quanto, in zona, si erano registrati numerosi e violenti scontri a fuoco tra tedeschi e repubblichini da un lato e inglesi (decima Divisione Indiana del decimo Corpo d’Armata, guidata dai capitani Fitzgerald, Benet, Hamsaj) e partigiani dall’altro. La San Faustino, forte di tredici ufficiali (al comando di Geo Gaves, cioé Stelio Pierangeli, tifernate) e oltre trecento uomini, operava nel vasto quadrilatero compreso tra Umbertide-Città di Castello, Cagli e Gubbio.
Alle prime luci dell’alba il gruppo di uomini della Brigata lasciò la scuola senza accorgersi che Luigi dormiva d’un sonno profondo. Poco dopo i tedeschi avevano operato una puntata offensiva nell’abitato (all’epoca Pietralunga contava poco meno di 5.000 abitanti, tra i quali molti sfollati) e, penetrati nella struttura pubblica, avevano sorpreso l’addormentato Fiorucci con una pistola in tasca e il fazzoletto rosso al collo. Elementi inconfutabili agli occhi dell’esercito del Fuhrer per ritenere il giovane un “banditen”.
I soldati della Wehrmacht, dopo averlo strattonato e trascinato fuori dell’edificio, gli avevano stretto i polsi con una corda che venne agganciata, con un nodo, ad un tank. Il reparto, col prigioniero al seguito, si era diretto a Gubbio, dove si era fermato praticamente per un giorno, prima di riprendere la strada per spostarsi, in ritirata, lungo la gola del Bottaccione, verso Cagli e le Marche. Per il prigioniero, sempre legato al carro armato, niente cibo, solo qualche sorsata d’acqua, in quei giorni caldissimi e sfiancanti di luglio. Mentre il contingente tedesco affrontava il percorso, molto accidentato, il Fiorucci si accorse che le corde ai polsi si erano allentate. Ed a quel punto pensò, senza ovviamente farsi accorgere dai nemici di quanto gli stava capitando, a cogliere l’attimo giusto per fuggire. Da perdere aveva poco: più volte aveva sentito pronunciare al suo indirizzo la parola “kaput”.
Il suo destino gli appariva segnato. Meglio tentare il tutto per tutto. Gli sembrò propizia l’occasione proprio sul crinale, nel punto in cui la strada montana – costeggiata da profondi burroni, ricchi di rigogliosa vegetazione – comincia a scendere giù verso le Marche. Si liberò con rapidità della corda che non stringeva più nulla e “a scapicollo”, come precisava lui stesso, si lanciò nella profonda scarpata del crepaccio. I tedeschi, dopo qualche attimo di sorpresa, imbracciarono le armi e cominciarono a sparare all’infrascata e all’impazzata, ma senza colpire il partigano che, le ali ai piedi e coperto dalla fitta vegetazione, riuscì a guadagnare terreno, tra gli sterpi e gli alberi, prendendo la direzione di Gubbio. Nessuno lo inseguì o se qualcuno lo fece, non lo raggiunse. Risalito, più avanti, il costone, il fuggitivo riprese poi la strada del ritorno verso casa, Pietralunga. Quando giunse in paese trovò le vie vuote e silenziose, come vuota glì si parò davanti, allo sbocco della storica via Roma, l’attuale piazza 7 Maggio.
Sentiva, il giovane partigiano, lacero, stanco, affamato, un leggero vocìo provenire dalla chiesa di Santa Maria, ma temette di entrare dal portone principale. Si avvicinò, piuttosto, alla canonica, e da lì scese i gradini che portavano alla sacrestia. Si affacciò sulla porta, a lato dell’altare e nella navata unica vide assiepati parenti, amici, concittadini che pregavano e salmodiavano. Per lui. Già perchè i compaesani ritenevano che il Fiorucci, trascinato via legato come un animale da macello, fosse stato ammazzato nelle campagne, come fin troppo spesso era avvenuto nella zona, negli ultimi mesi.
Come ovvio l’equivoco si chiarì immediatamente. E lo scampato alla morte venne festeggiato, tra lacrime di gioia, dall’intera cittadinanza.
Ancora fino a poco tempo fa, Luigi Fiorucci, l’ultimo partigiano combattente della San Faustino, amava ricordare come gli fosse capitato di assistere ai propri… funerali.
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, la Brigata Proletaria d’urto San Faustino
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