Intrigante e coinvolgente. Geniale e fantasiosa. Realistica e avvincente. Si può dire tutto, o il suo contrario, de La casa di carta, uno dei maggiori successi televisivi degli ultimi anni che anche in Italia (dove viene proposta dalla piattaforma Netflix) ha conquistato schiere di fedelissimi seguaci che adesso, a metà della quinta stagione, attendono con ansia e trepidazione gli ultimi (?) sviluppi della vicenda. Inizialmente programmata da Antenna 3 in Spagna (titolo originale La casa de papel), la serie è diventata un autentico cult tanto che alle programmate due stagioni, se ne sono aggiunte altre tre. Netflix ha garantito che a dicembre, quando saranno visionabili gli ultimi 5 episodi, la storia vedrà la sua conclusione, ma visto il successo travolgente potrebbe anche accadere che si continui ancora.
La storia narra di una rapina ambiziosa e originale: entrare nella Zecca di Stato di Madrid, far stampare migliaia di milioni di banconote e scappare con il bottino. L’ideatore è “il Professore” che procede al reclutamento di ogni singolo membro selezionando attentamente un gruppo di individui con precedenti penali, i quali, per diversi motivi, non hanno nulla da perdere. Ogni membro durante la rapina agisce vestito di rosso e con una maschera di Salvador Dalì. A ciascun componente della banda viene assegnato il nome di una città: Tokyo, Mosca, Berlino, Nairobi, Rio, Denver, Helsinki e Oslo. Le vere identità devono rimanere nascoste e a tutti vieneproibito di instaurare relazioni personali o sentimentali. Per preparare minuziosamente la rapina, si nascondono per cinque mesi in una vastissima tenuta di caccia abbandonata nelle campagne di Toledo, facendo tutte le simulazioni necessarie per affrontare qualsiasi possibile imprevisto.
Fingendosi militari della Guardia Civil che scortano un tir pieno di bobine di carta per banconote, i componenti della banda riescono a entrare nella zecca di Stato: l’azione è coordinata dall’esterno dal Professore, mentre il capo operativo è Berlino. La polizia prende le dovute contromisure e invia sul posto come negoziatrice l’ispettrice Raquel Murillo, donna determinata, madre di una bimba e con una difficile situazione personale. Nonostante il divieto, è proprio l’amore a rendere più complicato il progetto: Rio instaura una relazione con Tokyo; Berlino con un ostaggio; Denver con Monica, una segretaria della Zecca, che diventa sua moglie e successivo complice con il nome di Stoccolma; mentre tra Nairobi e Helsinki nasce un’amicizia che vale più di un amore. Anche il Professore ci casca e finisce per innamorarsi addirittura dell’ispettrice Murillo, la persona che aveva condotto le indagini e le trattative per stanare la banda: anche lei diventerà complice del successivo colpo prendendo il nome di Lisbona. Tra colpi di scena e rovamboleschi tranelli, la rapina riesce e la banda scappa in isole paradisiache in gruppi di due, girando il mondo per due anni.
I componenti del gruppo si riuniscono nuovamente quando Rio viene catturato dalla polizia, e decidono di aiutarlo organizzando un altro colpo: rubare l’oro della Banca di Spagna. Questo colpo era stato concepito 5 anni prima da Berlino e da Martín, suo amico che partecipa alla nuova rapina con il nome di Palermo e il ruolo di capo. La banda, dopo essersi riunita in una parte del monastero cistercense fuori Firenze, studia per circa 5 mesi il nuovo colpo e i metodi di contrattazione per ottenere la restituzione di Rio, che nel frattempo viene torturato e interrogato in un luogo segreto da un’altra ispettrice della polizia, Alicia Sierra. Fanno ingresso nella banda anche Marsiglia, militare animalista, e Bogotà, il miglior saldatore al mondo. Sinceramente, il tessuto narrativo si sfilaccia in questa seconda impresa. Troppi assalti, troppe esplosioni, troppi flashback che fanno perdere al racconto la tensione emotiva della prima stagione, premiata con una serie di riconoscimenti di valore, a partire dall’International Emmy Award come miglior serie drammatica. Indimenticabile, comunque, la scena del matrimonio di Berlino con Tatiana: il coro dei frati cistercensi che cantano Ti amo di Tozzi e Centro di gravità permanente di Battiato è onirica e affascinante: quasi felliniana, verrebbe da dire.
Strepitosa l’interpretazione dei tanti protagonisti: il Professore, interpretato da Alvaro Morte, e il suo fratello maggiore Berlino (il personaggio più intrigante affidato a Pedro Alvaro); Tokyo (Ursula Cordero) e Nairobi (Ágata Jiménez); Lisbona (Itziar Ituno) e Palermo (Martín Berrote). Un insieme di attori di alto livello, doppiati in maniera perfetta nella versione italiana. Ma qualcosa nel prosieguo della narrazione non funziona. “L’impressione è che già da tempo la serie spagnola abbia esaurito la sua funzione – commenta Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera – approdando in un universo profondamente differente da quello tracciato nelle prime stagioni; la sua indubbia capacità di trasformarsi in fenomeno di culto, e tenere incollati al binge watching (la visione tutta d’un fiato) moltitudini di fan, non deve vincolarci a nascondere limiti e debolezze sempre più sconcertanti”. La sensazione è che gli sceneggiatori e il regista (Alex Pina, Esther Martínez Lobato, David Barrocal, Pablo Roa, Esther Morales, Fernando Sancristóbal e Javier Gómez Santander) si siano fatti prendere troppo la mano, trascinando il racconto a lungo e quindi perdendo quell’aura di genialità che aveva caratterizzato il primo colpo.
In psicologia si definisce tale comportamento “sindrome da sovraccarico”, le cui conseguenze non sono certamente positive. Nonostante tutto, La casa di carta resta un cult, ben confezionato e avvincente. Intile aggiungere che i tanti appassionati non vedono l’ora che arrivi il 3 dicembre per potersi gustare le ultime 5 puntate. Almeno per sapere come va a finire il colpo nella Banca di Spagna.
Buona domenica.
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