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Rileggere Pirandello attraverso gli occhi di Andrea Camilleri

di | 2021-09-16T23:00:06+02:00 19-9-2021 6:25|Personaggi, Sezione 6|0 Commenti

ENNA – Leggere Pirandello e di Pirandello è sempre emozionante, ma leggere dell’autore siciliano attraverso gli occhi e la penna sapiente di un altro siciliano, Andrea Camilleri, è elettrizzante. Elettrizzante perché fornisce una chiave di lettura intima, personale, ravvicinata: Camilleri respira gli stessi odori, calpesta la stessa terra di Luigi Pirandello, vede gli stessi paesaggi, tocca gli  stessi ulivi saraceni e nodosi, ascolta le stesse favole. E poi lo conosce attraverso i racconti dei suoi genitori e della nonna Carolina e attraverso i suoi  stessi di occhi: è un primo pomeriggio di maggio del 1935 e il piccolo Andrea sta giocando quando sente suonare alla porta, va ad aprire e si ritrova davanti un uomo, alto e in divisa da accademico. È Luigi Pirandello, il quale rivolgendosi in dialetto al piccolo gli chiede:

Andrea Camilleri

– Cu si tu?

– Nenè Camilleri – gli risponde l’altro,

e lo spedisci a chiamare la nonna, la quale  sentendo il nome comincia ad agitarsi tanto che il piccolo Andrea ne ha paura.

Più grandicello scopre che la sua famiglia è imparentata e in affari con Stefano Pirandello, padre di Luigi, la cui figura da quel pomeriggio aleggerà sempre nella sua vita tanto da dedicargli un libro, Biografia del  figlio cambiato, un titolo che rimanda a una novella dello stesso Pirandello che esprime appieno l’idea che lui ha di se stesso: un figlio nato nel posto sbagliato e nel giorno sbagliato, ma quella lucciola cadente è andata magari a finire in una famiglia sbagliata. Sì, sicuramente è capitato così, perché lui sente di essere di un’altra famiglia, di un’altra razza.

E soprattutto sente di non appartenere a quel padre, iracondo, ululante, infedele da cui vuole prendere le distanze senza riuscirci mai. Lo legano a lui i soldi e il disprezzo. Un sentimento originato non solo dal carattere di Stefano Pirandello, ma soprattutto dalla scoperta che egli ha un’amante, una relazione, scrive Camilleri, che provoca tensione in famiglia e che spesso sfocia in azzuffatine e che sarà probabilmente la causa dei disturbi psichici della amatissima sorella Lina. E cosi il quattordicenne Luigi si attuffa nell’oscurità della follia che diventerà un orrido abisso quando la moglie, Antonietta Portolano, impazzisce, rendendogli la vita un inferno.

Folle di gelosia, Antonietta, che lui ha sposato in cambio di una ricca dote, lo aspetta fuori dai teatri e dalla scuola dove egli insegna per fargli delle scenate; insinua che la loro secondogenita, Lietta, sia l’amante del marito. Pirandello teme per i figli e per se stesso, ma non tiene cuore di internare la moglie, anzi l’asseconda, l’accontenta, l’accompagna su e giù, da Roma alla Sicilia. Un andirivieni che toglie tempo alla scrittura e che aggrava ulteriormente la già dissestata situazione economica.  Eppure la follia che da un lato intrappola Pirandello (è costretto a scrivere nella camera da letto dove dorme la moglie perché lei possa trovarlo lì al suo risveglio), dall’altro è il volano per scrivere, creare, inscenare una quantità di opere che gli valgono il premio Nobel ma mai la felicità. Morta la moglie, si aggrappa ai figli (Stefano, Fausto e Lietta), diventando una figura tracotante, invadente. Esercita su di loro un controllo psicologico assoluto, implora il loro amore, ne dirige le scelte, ripercorrendo gli errori di quel padre, il suo, dal quale voleva prenderne le distanze. Quando si rende conto di quanto gli sia invece simile, espierà la sua colpa prendendo il padre in casa sua, accudendolo fino alla morte, finalmente da figlio e non più da figlio cambiato.

Tania Barcellona

Nell’immagne di copertina, lo scrittore Luigi Pirandello

 

 

 

 

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