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“Terramia”, olio e olive per il riscatto

di | 2021-08-14T13:03:32+02:00 15-8-2021 6:00|Attualità, Sezione 1|0 Commenti

CASTELVETRANO (Trapani) – “Terra di suli e ammatticata, terra d’alivi e agghia pistata” (terra di sole e vento di scirocco, terra di olive e aglio pestato): con questo canto i castelvetranesi descrivono la loro terra arsa dal sole, martoriata da troppe vittime e in cui soffia il fuoco d’Africa che riempie i rami degli ulivi di pepite verdi dal sapore forte: l’antica Nocellara. Una cultivar riconosciuta come Dop, di grande pregio, tra le più note varietà autoctone siciliane. E’ un albero basso, nodoso e tozzo l’ulivo della Valle del Belice, non maestoso, ma con le braccia grandi che grondano di frutti verdi, ottimi da tavola e pungenti spremuti nel denso olio extravergine.

A partire da settembre le campagne che lambivano l’antico fiume, si vestono a festa e le famiglie si riuniscono per la raccolta delle preziose olive che, soprattutto quelle da tavola, vanno colte a mano con cura e selezionate “cocciu pi cocciu” (oliva per oliva). Terramia, una giovane cooperativa di Castelvetrano, dell’Arte dell’Oliva ne ha fatto una scelta di vita. Tre uomini (Francesco Quarrato, Vincenzo Martinico e Vito Sciacca) insieme a tre donne (Giovanna Cucchiara, Cristina Di Maio e Fina Curatolo) sono il corpo e l’anima di quest’azienda. Questo gruppo ben assortito e affiatato si è rimboccato le maniche e dal sudore del proprio lavoro, tra difficoltà, sacrifici e tanta determinazione, con il motto “Genuini come la nostra terra” ha portato avanti un progetto dal sapore della sfida.

“Siamo rimasti senza lavoro a causa della chiusura del Gruppo 6 Gdo – afferma Vito – e a 50 anni trovare una nuova occupazione non era certo facile. Abbiamo presentato un progetto all’Agenzia dei Beni Confiscati alla mafia per chiedere che ci venisse dato questo impianto, questo opificio, ormai dismesso che era parte della struttura del Gruppo”. E proprio l’opificio sequestrato alla criminalità organizzata è diventato il centro della cooperativa con i suoi macchinari a vapore e i suoi strumenti meccanici in una fusione armonica, in cui l’elemento moderno non stona ma convive con gli antichi profumi della colonia greca. “Per creare un qualcosa di nostro che simboleggiasse una rinascita e che fosse un vanto per la Sicilia – continua Francesco – abbiamo investito tutti i nostri risparmi per cercare di fare partire il progetto di Terramia, impegnandoci nella lavorazione e trasformazione delle olive che curiamo come se fossero dei figli”.

“Non sono mancati gli sgambetti – prosegue Vincenzo con una certa amarezza – ma ci abbiamo creduto e grazie al sostegno e all’aiuto delle donne, vera anima del gruppo, subentrate in un secondo momento, e al supporto delle nostre famiglie, siamo andati avanti”. Si sentono l’orgoglio, la fede e il sudore nelle parole dei soci. “Noi – commenta Vito – lo abbiamo voluto e puntato tutto sull’ulivo, anche quando non avevamo un ritorno economico, non ci siamo arresi, abbiamo chiesto un grande sacrificio alle nostre mogli, mariti e figli, cercando ogni giorno di migliorare e di creare qualcosa di nuovo”. Fiore all’occhiello della lavorazione dell’opificio è il metodo castelvetranese ormai famoso nel mondo che conferisce con i suoi passaggi la dolcezza tipica alla corpulenta Nocellara.

“All’inizio non conoscevamo la lavorazione delle olive – afferma Vito – ma volevamo fortemente ricominciare nella nostra terra, non abbandonarla. E con impegno abbiamo imparato una produzione tutta artigianale che va dalla pulitura all’invasatura”. “Non è stato facile – spiega Giovanna – perché ogni prodotto ha una sua pastorizzazione e lavorazione”. Ogni gesto è compiuto manualmente, secondo le più antiche tradizioni, in modo da garantire massima genuinità, consistenza e croccantezza a ciascun prodotto, come le numerose tipologie di olive in salamoia con metodo castelvetranese, olive schiacciate condite, olive nere infornate (grinze), olive Giarraffa, olive verdi incise in salamoia con metodo sevillano ma non mancano le conserve, i paté, i pomodori brillanti, la tipica caponata e carciofini, un tripudio di colori e sapori. Insomma c’è da farsi una cultura gastronomica.

Gli scaffali, nel piccolo showroom, come in una boutique sono decorati dai vasetti e bottiglie di olio contrassegnati da un’etichetta con il simbolo di una splendida donna/satiro danzante, i cui arti si trasformano in rami. Entrare nello stabilimento è affascinante, profumi agri risvegliano ricordi di antichi lavori, colossali silos, per adesso dismessi che facevano parte di un’antica cantina, come giganti luccicano maestosi sopra le teste indaffarate di chi si impegna per un futuro migliore. “Il nostro percorso è stato in salita – commenta Vincenzo – quando ci hanno consegnato lo stabilimento era quasi del tutto vandalizzato; lo abbiamo sistemato, pezzo per pezzo, abbiamo cercato di entrare in contatto con chi poteva proporci le migliori materie prime e dopo la lavorazione delle olive, abbiamo deciso di dedicarci anche ad altre eccellenze della Sicilia”. “Abbiamo deciso – afferma Giovanna – dopo i primi riconoscimenti legati alla lavorazione delle olive di dedicarci anche alla trafilatura della pasta tipica siciliana come le busiate e le ricciole di grano duro, creando anche nuovi formati”.

Brillano gli occhi a Giovanna mentre fa bella mostra della pasta dal profumo inebriante, che solleva come fosse un trofeo. E trofei e premi non sono mancati anche a livello nazionale: un primo e secondo posto nel concorso “Monna Oliva 2019”, dedicato alle migliori olive da tavola italiane e nel 2020 un altro primo posto e diverse menzioni. Senza dimenticare i riconoscimenti di natura civile e sociale, come il “Premio Ircac per la legalità”. Si legge nella targa: “per avere restituito ad un’attività lecita e produttiva un bene confiscato alla mafia”.

“Dal nostro sudore è nato qualcosa di buono, un riscatto. La Sicilia ha tanto di buono da offrire – sottolinea Giovanna – qualche giorno fa a causa del forte caldo c’è stato un incendio che ha quasi raggiunto il nostro stabilimento e io ho urlato con quanto fiato avevo in gola, non mi muovevo, restavo lì e urlavo. I vigili del fuoco oltre a domare le fiamme hanno dovuto ‘spegnere’ me, perché il pensiero che potesse andare in fumo tutto questo non potevo accettarlo”. Poi cambia argomento e sorride mentre mostra i quadri e le ceramiche da lei dipinte che fanno capolino tra le conserve decorate con i templi di Selinunte, alte agavi verdi, fili di grano e l’immancabile fico d’india.

“La nostra oliva – spiega Cristina, mentre mette a confronto un vasetto con delle olive verdi industriali e le proprie – sono il risultato di grande cura nella lavorazione a mano. La nostra Nocellara si distingue dalle olive che si trovano nei supermercati, perché il colore è naturale, le olive sono tutte diverse tra di loro perché non sono trattate, noi non aggiungiamo nessun colorante”. La cooperativa lavora tanto per conto terzi e il salto che vorrebbe fare adesso è quello di accorciare le filiere e rivolgersi direttamente alla grande distribuzione. “Siamo pronti a fare il passo per cui in questi anni ci siamo impegnati – confessa con enfasi il saggio Francesco – siamo pronti per la grande distribuzione, ci siamo attrezzati. Un passo importante è stato farci conoscere in tutta Italia grazie alla vendita online, il nostro sito è molto visualizzato soprattutto da visitatori del Nord Italia”.

Intanto le olive e i prodotti di Terramia girano il mondo e si trovano sulle tavole europee, molto apprezzate in Germania, Norvegia, Francia ma anche al di là dei confini del Vecchio Continente tra Canada, Corea e Australia. “Terramia era presente – confessa con orgoglio Cristina – anche per l’evento di Dolce &Gabbana a Castellammare, siamo stati selezionati tra i principali produttori di eccellenze locali. Quando giriamo per le fiere e manifestazioni il nostro gazebo è sempre tra i più visitati, sia per gli assaggi, in particolare le fette del famoso pane nero con il nostro olio e le olive da tavola, sia per i contributi artistici siciliani che esponiamo di Giovanna che nasce pittrice”.

Le olive vengono raccolte tra settembre e ottobre, assolutamente a mano con piccole ceste allacciate con una corda alle spalle di chi le raccoglie e vengono travasate con cura in gabbiette di medie dimensioni. Una volta arrivate nello stabilimento devono essere lavorate entro 12 ore. “Durante il periodo della raccolta – confessa Francesco – le giornate non finiscono mai, tutti all’opera per selezionare con cura oliva per oliva, ma a fine serata festeggiamo intorno a una tavolata”.

Tra canti, pane cunsato (pane condito con olio e sale) e un clima familiare questi uomini e donne con orgoglio simboleggiano la Sicilia bucolica e moderna del riscatto e della rivincita.

Alessia Orlando

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