MONZA – Una volta erano “Solo tre parole” ma allora si trattava dell’inizio di un lungo percorso. Dopo il successo di quella canzone, a 20 anni esatti dall’esordio nell’estate del 2001 (più di 10mila copie vendute nelle prime tre settimane), Valeria Rossi, nata a Tripoli nel 1969 ma cresciuta a Mentana (in provincia di Roma), fa i conti con tutto ciò che è successo da quando la sua figurina aggraziata che ballava e cantava cominciò ad impazzare nel panorama della musica italiana. E fa i conti anche con il testo di quella canzone che allora, dando l’impressione di un non sense, un motivetto facile da orecchiare, divenne subito un tormentone che veniva mandato a ripetizione da radio e tv. Tormentone che però, a differenza di tutti gli altri, non conobbe mai il tramonto, destino che il consumismo usa e getta riserva a molta parte della produzione musicale.
Quale era il messaggio misterioso che conteneva? Allora Valeria forse non lo sapeva perché “la creatività – afferma – è un’intuizione”, ma di acqua ne è passata sotto i ponti e con il senno di poi quelle parole che sembravano uscite a caso dalla penna dell’artista che era allora, prendono un significato diverso per la donna che è diventata. Ancora oggi “Solo tre parole” viene canticchiata persino dai più giovani, che al suo esordio non erano ancora nemmeno nati. Per la Siae è, a pieno diritto, un classico della musica leggera e come tutti i classici che si rispettino, ogni tanto rispunta fuori in uno spot, in una pubblicità, un remake. Ma quale è stata la formula magica nascosta tra le righe di “cuore, sole, amore”? Valeria, che allora era poco più di una ragazza ma ora è una donna consapevole delle proprie esperienze, ha studiato tanto, ha scavato dentro di sé non per diventare qualcuno ma esattamente quello per cui era nata.
“Ho cercato me stessa”, dice nella sua sobrietà da antidiva e l’equilibrio che non le tolgono il fascino di una volta ma, anzi, lo evidenziano. Ha un lavoro fisso al Comune di Monza, è sposata ed ha un figlio di 11 anni, non si definisce mai una cantante perché “i ruoli – spiega – mi fanno sentire prigioniera e mi impediscono di seguire il flusso del divenire”. Ma il canto non si tocca, quello è la sua vita per tante ragioni. Quando parla della sua prima – e preferita – creatura artistica, non distingue tra musica e vita. “La prima – spiega – è stata un viatico per la seconda, o anche viceversa ma in ogni caso in me l’una non esiste senza l’altra”. E a questo proposito ha tanto da dire, a cominciare dalla sua crescita interiore, iniziata proprio con l’attacco di quella canzone: “C’e solo una cura, Io so che lo sai, È una stanza vuota, Io mi fiderei”. All’epoca furono parole canticchiate da tutti senza pensarci su, ma sul loro contenuto ermetico poi, ci si sono sbizzarriti anche esperti e studiosi e recentemente esse sono state materia di una tesi di laurea.
“Fu un lavoro di due anni – racconta – che servirono a trasformare in un messaggio facile la proposta di guardare le cose da un’angolazione diversa, di affidarsi alla propria intuizione, alla propria interiorità, che è l’unica cura, appunto, per tutti i mali”. Quelle che sembravano parole sparse in libertà, erano in effetti delle connessioni profonde, che nascevano e puntavano a trovare il legame con la natura che c’è in ogni essere umano. E, per come sono andate le cose, esse centrarono l’obiettivo toccando la sensibilità di un pubblico – ma lei preferisce parlare di persone vicine al suo modo di sentire – che oggi la segue sui social, dove l’artista ha continuato il suo percorso spirituale iniziato proprio lì, da quella che sembrava una canzonetta e invece non lo era affatto. “Era il primo passo – ricorda – verso la conoscenza di me stessa, per la quale il canto è stato solo un mezzo ma non il vero obiettivo”.
Da “Solo tre parole”, con un grande balzo, Valeria si è lanciata verso la spiritualità ed ha raggiunto risultati che non può condividere con tutti “ma con chi sente nel mio stesso modo sì e questa è una vera selezione”. E quel modo consiste “nell’essere consapevoli che siamo parte della natura con la quale condividiamo l’aria che respiriamo e di cui siamo fatti”. Si tratta di quel soffio che Valeria ha iniziato a studiare con il canto, a scandagliare con uno studio sempre più appassionato e quasi morboso per comprenderne a fondo l’origine e arrivando a conclusioni che investono la concezione della vita sotto tutti i suoi aspetti. “L’aria per me è diventata un sistema filosofico – spiega – perché è transpersonale, mette ognuno di noi in contatto con tutto il resto: noi siamo respiro, siamo un alito di vita cui il corpo dà una forma visibile”. E’ per questo che la cantante (ma lei precisa: “ex”), non vuol più sentire parlare di titoli e ruoli. Li accetta purchè siano provvisori.
“Se fossi stata solo una cantante – sottolinea – mi sarei fermata a inseguire il successo e non sarei oggi quella che sono: una persona prestata dalla vita ad essere moglie, madre, amica, sorella, pubblico ufficiale nel comune di Monza, a seconda delle esigenze, con la adattabilità che mi rende partecipe del flusso delle cose, mi trasforma e non mi dà etichette, spesso causa di sofferenza”. Da quelle apparenti tre parole che sembravano banali, ora con Valeria Rossi si parla di filosofia, di ricerca interiore, di equilibri difficili e sempre da mantenere, “curare”, ma si parla anche di tante esperienze acquisite e di soddisfazioni personali, umane. Quelle professionali (“accetto solo impegni in cui cantare mi piaccia davvero tanto”), la sfiorano appena, come farfalle, e la sua vita lontana dal successo e dalla mondanità è tanto bella, perché è leggera. Ora ne è convinta.
“E’ un patrimonio che metto a disposizione di quanti hanno scelto di seguirmi – dice – cui non pretendo di insegnare nulla ma solo di distribuire quanto ho imparato dal mio cammino dentro me stessa”. Ecco cosa c’era di misterioso in quel motivetto divertente e solo apparentemente leggero: tutta la visione della vita secondo Valeria Rossi. Con lei tutti noi abbiamo fatto il patto non scritto che si fa con i poeti. Di essi non capiamo la logica ma istintivamente ci fidiamo a farci accompagnare nella loro interiorità, in cui riconosciamo la nostra. Sembrava un testo facile e invece era un modo di essere e di vedere il mondo. Nel 2001 l’astro nascente di Valeria Rossi vi tendeva inconsapevolmente ma oggi, a quella “stanza vuota”, a quella “cura”, alla “fiducia”, lei sembra essere sempre più vicina, almeno a giudicare da quel suo sorriso socratico che ne racconta tante, di parole, non solo tre. Ed ora in molti siamo pronti a comprenderle meglio e a riconoscerci tra noi quando le ascoltiamo. Grazie, Valeria.
Gloria Zarletti
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