SANT’ORESTE (Roma) – Da dovunque si arrivi la sua figura si impone sul paesaggio con uno stacco netto rispetto alle zone circostanti: posizione che lo fa sembrare un gigante anche se, con i suoi 691 metri di altezza, è poco più di una collina. Eppure il Monte Soratte, nel comune di Sant’Oreste a circa 50 minuti da Roma, domina il territorio, lo controlla, gli fa ombra con la sua mole rendendosi visibile anche a lunga distanza. Lo raccontava già Orazio (ode 9, libro 6), che nel I secolo a.C., dalla sua villa di Licenza (località tra Tivoli e Subiaco), lo descriveva innevato e con fiumi ghiacciati. A quei tempi, però, il clima era molto diverso da oggi.
Come che sia e per i motivi più disparati, il Soratte compare nella storia di tutti i tempi. Anzi, già dalla preistoria si hanno testimonianze archeologiche che confermano insediamenti sulla sua cresta sommitale nell’età del bronzo, originariamente boscosa e oggi brulla. Non furono estranei al fascino di questa montagna, dopo l’età primitiva, neanche le prime civiltà stanziate sul territorio: gli Etruschi e i Falisci. Perché il fatto di essere nel mezzo di un territorio pianeggiante fa di questa protuberanza emergente da una piana, quasi un’isola in mezzo al mare, cui dà e dal quale prende bellezza e delizie. Con un versante essa guarda i monti Cimini e il viterbese, dall’altro la Sabina reatina e la valle del Tevere, con un’occhiata veloce anche nella direzione dei centri che, dalla via Salaria, portano verso la capitale.
Il bello del Soratte è che il suo contorno cambia a seconda del punto da cui lo si guarda, ricordandoci che il modo in cui noi vediamo le cose è parziale e soggettivo, solo uno dei tanti possibili. E così esso si mostra ogni volta con un volto diverso: a punta, a risega, rotondo o anche, per chi proviene dall’autostrada A1 Roma nord, somigliante al profilo di Benito Mussolini. Dalla parte di Civita Castellana, non lo si può non riconoscere nella famosa, esilarante scena del film “Brancaleone alle Crociate” (Mario Monicelli, 1966), in cui il protagonista – un giovane Vittorio Gassman – fa a spadate fino allo sfinimento con il suo avversario Teofilatto dei Leonzi. Forse non si può arrivare a dire che dal Soratte si vede il mondo ma di certo da lì lo si può immaginare più bello e vario.
Già prima dei Romani, dunque, Etruschi e Falisci ebbero nei suoi boschi di alberi oggi secolari i loro luoghi di culto. Da quella vegetazione ancora oggi trasudano presenze sacre il cui mistero si ripete e riecheggia anche nelle pagine del thriller dello scrittore romano, contemporaneo, Franco Mieli. Nel suo “Ombre pagane” (ed. Montecovello, 2015), Mieli che con questa opera è stato onorato di una menzione nel concorso annuale di Monterotondo “Librinfestival”, fa riecheggiare in una storia che si snoda tra Roma e il sacro monte, il “numen” ancora presente sui suoi pendii e tra i boschi. Perché è una vocazione religiosa, quella del Soratte, rimasta intatta anche con la grande rivoluzione del Cristianesimo, dal primo secolo in poi, che ne approfittò per trasformare il tempio del dio Soranus in un santuario dedicato a San Silvestro, il papa che visse sotto l’imperatore Costantino. Non mancano, per questo, eremi e santuari sui suoi sentieri, che confermano la natura spirituale del luogo. Eppure questa sua caratteristica non basta a spiegare il valore del monte che, nel tempo a venire, si è poi caricato di altri significati, assumendo quasi la funzione di un monumento nell’accezione originaria del termine, ossia quella di ammonimento.
Il fatto di aver avuto un ruolo importante come base militare tedesca durante la seconda guerra mondiale, avvalora una leggenda che vorrebbe essere sepolto proprio qui, alle sue pendici, il tesoro mai trovato ma ancora cercato, dei nazisti che sottrassero tutti i preziosi agli ebrei, una vicenda che arricchisce il suo ruolo nella storia e aggiunge mistero ad un luogo tanto affascinante. Come se tutto ciò non bastasse, c’è da ricordare che il monte ha avuto ancora un altro utilizzo dall’epoca fascista in poi, poco noto e reso pubblico solo recentemente, ruolo che non ha nulla di sacro ma che gli vale un posto di non poco conto nella storia. Si tratta della conversione a bunker delle sue gallerie sotterranee negli anni della Guerra Fredda. Il rifugio così ottenuto è stato pronto per ospitare 90 persone in caso di attacco nucleare in un sempre temuto terzo conflitto mondiale. Fortunatamente esso non è stato mai usato per questo scopo ed oggi è diventato sede di un museo.
Ma la responsabilità civile ed etica di questo sito verso i posteri è grande. Con il freddo metallico, con le sue pesantissime porte blindate, i terribili sistemi di allarme dell’età moderna, il rifugio antiatomico che sta nel cuore della montagna sacra sta lì a ricordare cosa può succedere alla natura quando l’uomo si arroga il diritto di farne ciò che vuole.
Quando si esce dalle gallerie sotterranee del bunker, orribile retaggio della guerra, nella salita stessa verso l’alto tra le delizie dei boschi e del panorama, è lì che troviamo impresso il messaggio del sacro monte: che la bellezza non si conquista se non con la fatica, lasciando in basso, alla dimensione umana, le cose materiali. E’ un discorso fatto di tante cose, quello del Soratte, che ci parla la lingua degli dei attraverso il cinguettio degli uccelli, i rumori fruscianti di volpi e cinghiali, il sibilo del vento tra le fronde.
Per comprendere, al visitatore non serve altro che mettersi ad ascoltare quello che racconta di aver visto, nella sua lunga vita, il bosco.
Gloria Zarletti
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