PERUGIA – Presto, molto presto uscirà un libro di poesie di Luis Sepulveda. Un ritorno alle origini per il grande scrittore cileno che aveva cominciato la sua attività letteraria proprio con i “poemas”, come vengono definite le liriche in lingua spagnola. L’annuncio lo ha dato la moglie di “Lucho”, morto di Covid nel luglio dello scorso anno, la poetessa Carmen Yanez, partecipando ad una videoconferenza organizzata dall’Associazione cileni adottivi in Italia e dai cileni di Sardegna. A gestire l’incontro, davvero interessante ed in alcuni momenti altamente emozionante, anzi persino commovente, il giornalista Giorgio Pezza e la psicologa Margarida Soledad Assettati che hanno presentato la biografia di Sepulveda (dal titolo “Storia di Luis Sepulveda e del suo gatto Zorba”) scritta da Ilide Carmignani, lucchese, traduttrice, oltre che di Neruda e Bolano, delle opere dello scrittore sudamericano, che ha conosciuto e frequentato e col quale ha collaborato per quasi trenta anni.
La Carmignani parla del “cileno errante” presentandolo a 360 gradi e narrando vicende ed aneddoti inediti, che mettono in luce il carattere, la personalità, la cultura, la generosità di Lucho. Il giornalista esule, difensore della natura, dei più deboli, della libertà, amante dei gatti (“piccoli monumenti alla libertà”), coltivava una predilezione particolare per Hernest Hemingway combattente nella guerra di Spagna assieme a suo zio, fratello del padre, anarchico come il nonno paterno, Gerardo (quest’ultimo emigrato nelle Americhe dalla natia Andalusia per sottrarsi alla condanna a morte). Dello scrittore statunitense, Sepulveda adorava, tra l’altro, lo stile, che consisteva – per dirla con le parole dell’autore di “Per chi suona la campana” – nel comporre pagine “con parole da 20 cents, non da 20 dollari”. Genuino, sincero, semplice, insomma.
Le origini hanno contato molto nella crescita di Lucho, che già da ragazzino frequentava il Centro asturiano di Santiago. Ed il cui mondo confinava tra la Patagonia ed il deserto di Atacama, tra l’oceano e la cordigliera. Affacciandosi alle finestra della sua casa Luis godeva nell’ammirare le Ande ammantate di ghiacciai e di neve brillante. E questo panorama gli è sempre mancato, anche se dopo la Svezia, la Germania (Amburgo), la Francia (Parigi, dove era stato naturalizzato) aveva scoperto a Gijon, nelle Asturie, una certa somiglianza – i monti, il verde, l’oceano, le rive – con la sua terra lontana. “Avevamo un sogno e non lo abbiamo dimenticato”, ripeteva, riferendosi forse alla sua lotta politica per la libertà a fianco di Allende e contro la dittatura di Pinochet, ma probabilmente pure al suo paese, ai paesaggi, alle eredità culturali, sociali e politiche, alle radici. Assicurava: “La mia patria è la mia lingua: lo spagnolo”. Non appare causale, inoltre, che ricordasse le sue vacanze estive, a 16 anni, in Patagonia, la luce australe, del cielo e del mare del sud e che aggiungesse: “Nato alla fine del mondo è lì che voglio fare ritorno”.
Un altro dei suoi tratti, la generosità. In Spagna, a Gijon, aveva creato e fondato il Salone del libro latino-americano, grazie al quale scrittori meno noti, meno conosciuti avevano potuto farsi apprezzare e farsi pubblicare le opere in Europa. La difesa della natura, la lotta per i diritti degli uomini e degli animali, sono stati i cardini, la cifra della sua esistenza. L’esperienza dei mesi trascorsi nell’Amazzonia profonda del popolo degli Shuar, le battaglie sulle navi di Greenpeace, lo zelo con cui ha lavorato per diminuire le disegueglianze sociali parlano e dipingono un uomo portatore di valori importanti, quelli che danno un senso alla vita. Ma proprio perché era un uomo trovava lo spazio non solo per i grandi temi (magari lottando in armi per la libertà al fianco di Allende, di cui era stato guardia personale o tra i sandinisti), ma anche per le gioie, le felicità, piccole, comuni che appartengono ad ogni vivente: i piatti gustosi, la pasta, il bicchiere di buon vino, la nuotata al largo, il montare a cavallo… “Non essere felici domani, un giorno, ma essere un poco felici sin da adesso…”, spiegava. Lui che ricordava ai giovani di ogni emisfero: “Non importa vincere, l’importante è provare ad avere sogni. Ne esci perdente? Vuol dire che hai fatto sogni molto grandi…”.
Come era capitato a lui che aveva vagheggiato e si era battuto per un Cile di democrazia, di uguaglianza, di libertà. Non era, Luis, un asceta. Uno indifferente ai piaceri. Riusciva a passare, con lo stesso fervore, dall’impegno coi guerriglieri in armi in Bolivia al disbrigo delle faccende domestiche, tanto da mettersi ai fornelli della cucina. Magari per sfornare le frittelle cilene. Amuleti contro la tristezza. Imbracciava il mitra, ma impugnava anche la penna per scrivere, sul treno che da Amburgo lo portava a Parigi, insieme al suo amore ritrovato, Carmen, la poesia “La più bella storia d’amore”, tanto da convincerla al secondo matrimonio, dopo quello spezzato e spazzato va dai golpisti. Vale ricordare – per chi non conosce la vicenda umana della coppia – come Luis avesse incontrato, amato e sposato Carmen, di tre anni più giovane, quando aveva appena diciotto anni. L’aveva incrociata per stada un anno esatto prima dell’assalto al palazzo presidenziale e alla morte di Allende.
Un colpo di fulmine, per entrambi. Dodici mesi intensi per loro (era nato anche il piccolo Carlos, il primogenito) stravolti dal “golpe” di Pinochet, dall’arresto, dalle torture, dall’esilio dello scrittore e dalla prigione, dalle sevizie, dal confino subiti pure da Carmen. Le loro vite erano state brutalmente separate, allontanate, frantumate. Ognuno dei due aveva seguito, lontano al Cile, un percorso autonomo: altri incontri, altre esperienze, altri compagni o compagne. Poi, ormai con i primi capelli bianchi, si erano di nuovo incontrati. Per caso. Ed avevano rinfocolato e rivissuto le stesse sintonie, le medesime affinità, il feeling di un tempo.
Romanzesco, ma vero, il particolare che a permettere che Luis e Carmen di riallacciare il loro legame fosse stata proprio la compagna tedesca dell’esule cileno: “Carmen è la sola donna della tua vita, Luis, il tuo grande amore”, aveva sentenziato, senza gelosie, senza astio. Il colpo di teatro della serata si è concretizzato con l’apparizione in video della Yanez che è riuscita ad inserirsi proprio nelle ultime battute del collegamento dalla sua casa di Gijon nelle Asturie, il “buen retiro” della coppia, suscitando una profonda commozione, soprattutto quando ha recitato, a fine incontro, la poesia che ha dedicato al grande amore della sua vita.
Elio Clero Bertoldi
No, non c’é
Non viene
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