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Il tormentato viaggio del carro di Eretum

di | 2021-05-16T10:34:21+02:00 16-5-2021 6:15|Cultura, Sezione 4|0 Commenti

RIETI – Piccola, ma concentrata e suggestiva: è “Strada facendo. Il lungo viaggio del carro di Eretum”, una mostra da non perdere e un segnale di ripartenza per tutti. Per la prima volta sono riuniti i reperti rientrati dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen con quelli conservati nel Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina. La mostra è allestita a Palazzo Dosi-Delfini a Rieti (piazza Vittorio Emanuele II) dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e la provincia di Rieti, in collaborazione con il Museo Nazionale Romano (diretto da Stéphan Verger) e la Fondazione Varrone di Rieti, che ha messo a disposizione tre sale del laboratorio e ha fortemente voluto il rientro del carro in terra Sabina. La mostra è aperta tutti i giorni fino al 10 ottobre – eccetto il lunedì – dalle 17 alle 20, l’ingresso è gratuito, le misure anti Covid richiedono la prenotazione su Eventbrite (info nel sito della Fondazione Varrone).

Il viaggio è iniziato nel 1970, quando nei pressi di Montelibretti, in occasione degli scavi per la costruzione dell’area ricerche romana con la sede del Cnr, venne rinvenuta la Tomba XI del principe sabino nella necropoli di Colle del Forno e, come troppo spesso accade, i tombaroli erano già arrivati trafugando i preziosi corredi funebri, recuperati grazie al lavoro dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale. La professoressa Paola Santoro, studiosa dell’antica Tomba XI, si accorse subito che era stata già profanata e da quel momento iniziarono le ricerche in tutti i musei del mondo. Una volta rintracciati in Danimarca nel 2006, dove erano esposti in un’area sulle civiltà italiche del Mediterraneo antico, iniziarono le trattative per il recupero prima con Francesco Rutelli, poi con Dario Franceschini, fino all’accordo finale tra il Mibact e la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen, riconsegnando i reperti al nostro Paese nel 2016.

Le conoscenze archeologiche sulla civiltà dei Sabini provengono quasi esclusivamente da scavi di necropoli. Eretum appare nella documentazione storica soprattutto come luogo di alcune battaglie tra Sabini e i Romani tra l’età regia e i primi tempi della Repubblica. Le necropoli erano nelle alture circostanti la zona di Montelibretti, zona di confine. La località Colle Del Forno ha riportato alla luce 40 tombe a camera utilizzate tra la fine del VII secolo a.C. e la prima metà del II secolo a.C. Le tombe sono per lo più a camera ipogea preceduta da un breve dromos, corridoio di accesso, con loculi e banchine scavati nel tufo.

Lo scavo sistematico della tomba XI è iniziato nel 1972 dal centro di studio per l’archeologia etrusco italica e subito furono evidenti le tracce di scavi meccanici. Restava da scavare un riempimento di circa 60-70 cm di altezza, la tipologia architettonica della tomba si qualificava come un unicum e la presenza di resti di carri, finimenti, scudi da parata e il lungo periodo d’uso, consentirono di comprendere che si trattava di una tomba di una famiglia di rango eccezionale. Gli studi dei materiali sono ancora in corso, la fondazione del sepolcro è più antica di quanto si pensasse e sarebbe stata costruita nella prima metà del VII secolo a.C. per un personaggio femminile di alto lignaggio, vissuto due generazioni prima rispetto al principe titolare dei carri.

Il lungo viaggio di rientro del carro di Eretum è stato seguito dalla soprintendente Paola Refice insieme ai colleghi archeologi Francesca Licordari e Alessandro Betori, che hanno curato anche l’allestimento, insieme a Daniele Carfagna, Chiara Arrighi e Antonio Russo. L’esposizione e la ricostruzione dei reperti sono veramente di grande suggestione. “Un evento di interesse nazionale, che dà il via alla ripartenza culturale di Rieti e della Sabina, motivo di orgoglio per il patrimonio culturale del nostro Paese” ha commentato Giuseppe Cassio, ispettore della Soprintendenza. “Come Fondazione Varrone – sottolinea il presidente Antonio D’Onofrio – sentiamo l’ansia di disuguaglianze che si stanno allargano e crediamo che la cultura sia uno di quegli elementi che può servire a riequilibrare. A causa della pandemia, molte iniziative della Fondazione sono saltate, ma ora ripartiamo. Questa mostra ha un valore e un respiro che va ben oltre il perimetro locale, così come quella sui beni di Amatrice che apriremo a breve, il libro sulla memoria dell’industria, il rapporto che abbiamo commissionato al Censis sulla ripartenza, sono tutte occasioni che offriamo al territorio, convinti che la cultura sia decisiva anche per la ripresa economica”.

Sarà importante alla riapertura delle scuole in presenza, far visitare la mostra agli studenti: “Potremmo raccontare il valore di questi reperti – aggiunge Paola Refice -. Pezzi fatti per durare, che ci raccontano una storia in parte ancora da scrivere e l’importanza del grande lavoro di squadra che abbiamo fatto”. Il viaggio potrà dirsi concluso l’anno prossimo con l’esposizione nel Museo Civico Archeologico di Fara Sabina, ma questo avverrà dopo i lavori che stanno interessando la struttura, che deve avere stanze più adatte e sale appropriate. Nel frattempo, a ottobre, il carro sarà al Museo Nazionale Romano insieme ad altri reperti molto importanti per una mostra su Roma.

Francesca Sammarco

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