RIETI – Il Covid e l’effetto limbo è il titolo di un’intervista alla psicoterapeuta Maura Manca, dottoressa e presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza. La considerazione parte dalla situazione attuale in cui sembrerebbe che non si abbia più nulla da attendere e dunque più nulla da sperare. In un momento in cui i giorni si susseguono sempre uguali e dove non c’è progettualità, c’è apatia, soprattutto tra i giovani. Svegliarsi, lavorare o studiare, mangiare, lavorare, mangiare e dormire, ripetuto per ogni giorno per 365 giorni, dal marzo 2020 al marzo di quest’anno, ci hanno resi apatici, nervosi, sconfitti, rassegnati, tra video e telefonate fiume per lavoro e per tenere contatti con amici e parenti.
Per non parlare delle serate dei weekend. Senza poter pensare all’idea di un viaggio, né uscite serali, con tutte le restrizioni anti contagio che hanno provocato una routine priva di qualsiasi scossa. Nessuna possibilità di pianificare, l’idea di un concerto da vedere, un cinema, un teatro. Ogni giorno è simile all’altro, non c’è più niente da attendere. E ci chiediamo: ma quando finisce? Come si arriva alla fine? Uno stallo in cui siamo tutti coinvolti, ma per esempio i giovani, quelli universitari, nessuna speranza, neanche dei lavori precari. Incertezza nell’incertezza. Nel mondo del lavoro si sente ormai sempre la stessa considerazione: ”c’è crisi, non possiamo farci niente”.
“Non avere più niente da attendere significa anche non sperare – dice la dottoressa Maura Manca -. La speranza ci porta ad agire, è quel movimento interiore che spinge ad andare avanti, per andare incontro a situazioni che speriamo possano verificarsi: io spero che l’esame vada bene, di trovare un lavoro, di trovare un fidanzato. Faccio allora qualcosa per ottenerlo. I giovani vivono adesso un ‘effetto limbo’. L’incertezza blocca la progettazione. Noi cerchiamo la sicurezza nel controllo, nel momento in cui dobbiamo camminare in un terreno più instabile, iniziamo ad avere problemi”. Dopo aver atteso una fine che sembra non arrivare mai davvero, scandiamo il tempo nell’attesa di risultati, dei tamponi, di risposte: attesa fatta di ansi , angoscia, trepidazione. In questo modo si sente il tempo trascorrere momento per momento, secondo per secondo, senza nessuna possibilità di poterlo ingannare. Non ci sono probabilità che possano contrastare l’abbassamento dell’umore.
Non manca, ad esempio, l’aperitivo in sé, bensì l’idea dell’aperitivo stesso, il senso. Spiega la dottoressa Manca: “Un giovane può sopravvivere senza bere un drink, ma la birra con l’amico è quel momento di condivisione e di distacco in cui si condivide qualcosa con un’altra persona. E’ un momento che arricchisce emotivamente, che rinforza i legami, il confronto. Quando ci sono questi rinforzi positivi, vengono rilasciate una serie di sostanze che vanno ad attivare delle aree cerebrali che generano benessere. Vivere in una relazione sociale significa affrontare se stessi quotidianamente. La sfida attiva a livello ci cerebrale, ci spinge ad andare oltre”.
Tutto questo è per tanti venuto meno, accendendo una spia d’allarme sulla salute mentale dei giovani. Tutto questo ovviamente inteso in generale. Molti giovani hanno reagito alla noia, adattandosi, modificando le relazioni. Molti altri non hanno invece accettato il cambiamento, trovandolo imposto, ingiusto e dunque subendolo, e questi ultimi sono coloro che ne pagheranno maggiormente le conseguenze psichiche a lungo termine. Perché tutto questo non durerà solo il tempo della pandemia. “Bisogna smettere di attendere che le cose tornino come prima – consiglia ai giovani la dottoressa Manca – altrimenti andiamo in blackout emotivo, che provoca immobilismo psichico, che è fonte di patologie gravi. L’ansia e la preoccupazione possono portarci a vivere in una condizione di allarme che potrebbe sfociare in disturbo d’ansia e dell’adattamento”.
Il consiglio che la dottoressa Manca rivolge ai giovani è quello di fare, agire e bisogna intervenire da subito, nell’oggi, perché “non fare sta diventando la normalità e a lungo andare è un processo che spegne”.
Stefania Saccone
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