ROMA – Difendere l’ambiente, l’ecosistema e i suoi abitanti. Tutelare gli animali in via d’estinzione, combattere fino alla morte affinché ciò sia possibile. Non sono le solite frasi fatte, il bla bla di qualche naturalista annoiato. C’è chi veramente sacrifica la propria vita per difendere quella degli animali attaccati dalla cupidigia e dalla cattiveria dell’uomo.
Cinque ranger del parco nazionale dei vulcani Virunga, nella Repubblica del Congo, sono stati ammazzati da bracconieri senza scrupoli. Un sesto è stato ferito ed è tutt’ora in gravissime condizioni. Sei ranger giovanissimi, la loro età non supera i trent’anni, che hanno deciso di sacrificare la loro vita a difesa di ciò che resta della foresta equatoriale africana.
Cacciatori di frodo, latifondisti e signori del petrolio hanno messo nel mirino quell’enorme polmone verde che ingloba la più antica giungla ancora esistente sulla Terra.
Il parco nazionale dei Virunga, il primo realizzato in Africa (1925) è anche patrimonio dell’Unesco. Ed è qui, dove nel 1988 Michael Apted girò Gorilla nella nebbia (con Sigourney Weaver nei panni della dottoressa Dian Fossey, la naturalista uccisa mentre studiava il comportamento dei primati), che queste grosse scimmie vengono cacciate senza tregua, in una persecuzione che le sta portando all’estinzione. Ogni anno, secondo le stime del Wwf, il 10% della popolazione di gorilla di pianura viene ucciso dai bracconieri, si conta che in alcune foreste dell’Africa centrale sia stato sterminato il 90% della popolazione dei gorilla. Secondo le ultime stime, a Virunga oggi restano appena 880 esemplari di gorilla. La soglia critica di 1.000 unità è già stata ampiamente superata. Negli ultimi anni la minaccia non solo non è stata arrestata, ma ha subito una potente accelerazione se si considera che ben il 75% dei gorilla di montagna è stato ucciso dal 2006 a oggi. Anche per le sue carni.
Sono solo due le specie che sopravvivono in questa parte dell’Africa equatoriale: il gorilla occidentale e il gorilla orientale, divisi da 900 chilometri di foresta vergine del Bacino del Congo, il secondo polmone verde del Pianeta, dopo la foresta Amazzonica. Un’immensa giungla, grande come l’intera Europa (2 milioni di chilometri quadrati), a rischio deforestazione. Il taglio illegale dei grossi alberi, finalizzato alla creazione di nuovi campi da coltivare, e lo sfruttamento del sottosuolo fa sparire grosse porzioni di foresta africana. Si tratta di circa 700 mila ettari disboscati ogni anno, come tre volte l’area del Belgio.
Oggi questo polmone verde, tra le più antiche giungle del Pianeta, resta terra di conquista per uomini senza scrupoli in cerca del profitto a ogni costo mentre a difenderlo c’è solo un manipolo di giovani ranger che il Wwf ha definito “eroi della natura”. Di fatto l’unico ostacolo che si frappone agli affaristi senza scrupoli in uno Stato in cui politica e pubblica amministrazione sono altamente corrotte. Negli ultimi 20 anni sono stati 175 i ranger caduti nelle imboscate dei nemici del Virunga.
Nel 2014 il Wwf è riuscito a ottenere un impegno pubblico da parte della Repubblica Democratica del Congo e delle compagnie petrolifere per il rispetto del santuario del gorilla. Una vittoria ottenuta anche grazie alla battaglia combattuta dai media di tutto il mondo. Una battaglia che deve continuare così da tenere sempre alta l’attenzione. In più, recentemente si è affacciata un’altra minaccia per i gorilla, rappresentata dalla presenza di legna fossile nel sottosuolo: nei 7.800 chilometri quadrati del parco nazionale si trova un numero di vulcani tale da garantire importanti riserve di carbone, una miniera che attrae centinaia di nuovi affaristi.
Anni di guerre civili e governanti corrotti favoriscono gli investitori stranieri che arrivano per depredare il territorio. A difendere il secondo polmone verde del mondo restano solo i ranger e le associazioni ambientaliste.
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