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Caro Peppino, adesso ti chiedo scusa

di | 2018-05-06T07:18:37+02:00 6-5-2018 6:00|Attualità, Personaggi, Sezione 1|0 Commenti

Caro Peppino, nel ’78, quando ti hanno ammazzato, avevo vent’anni. Ero tutta casa, chiesa e università. La mafia era per me una presenza nebulosa e indistinta. C’era, ma non mi sfiorava. Ero troppo occupata a combattere le mie piccole, buone battaglie. Però, avvenuta insieme al più eclatante assassinio di Aldo Moro, la notizia della tua tragica fine mi colpì. “I carabinieri non nutrono dubbi sulla fine dell’estremista siciliano, dilaniato dalla bomba che stava collocando sui binari”, titolavano i giornali. “Peppino Impastato è stato ammazzato dalla mafia”, urlavano invece in silenzio i manifesti di Democrazia Proletaria. Devo confessartelo, non ho creduto subito alla verità di quei manifesti …

Ma, qualche anno dopo, iniziava il lungo calvario degli omicidi eccellenti: l’assassinio dei magistrati Cesare Terranova e Gaetano Costa, l’omicidio del segretario regionale del Pci Pio La Torre e, nel 1982, quello, dirompente, del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa… E un’autobomba il 29 luglio 1983 uccideva il giudice Rocco Chinnici, i due carabinieri della scorta e il portiere dello stabile. Intanto avevo conosciuto Pino Manzella, un tuo caro amico. E ho scoperto che quell’Impastato da cui facevo la spesa, vicino Cinisi, era addirittura tuo fratello Giovanni e la signora a cui pagavo le pizze tua cognata Felicetta.

Così, piano piano, per me sei diventato quasi un morto di famiglia. Ho cominciato a seguire con interesse le battaglie fatte da tuo fratello, dai tuoi amici e dal Centro di documentazione che a Palermo porta il tuo nome: lotte decennali, in Tribunale e nella società civile, perché fosse fatta giustizia per la tua morte e perché venisse riconosciuto il tuo impegno sociale e politico. “Peppino Impastato è stato ammazzato dalla mafia” non era più l’affermazione azzardata dei militanti demoproletari, ma la triste verità che, tra tanti colpevoli silenzi e depistaggi, si andava faticosamente facendo strada.

A Palermo, negli anni ’80, la presenza mafiosa era sempre più opprimente e uccideva poliziotti, magistrati e gente comune, anche prima delle orribili stragi di Capaci e via D’Amelio, nel ’92.

Ma che differenza tra te e noi, caro Peppino… Tu la mafia ce l’avevi in casa. Però, seppure a prezzo di una solitudine amara e sofferta, hai trovato il coraggio e la forza per rompere con la cultura e la prassi mafiosa. E hai scoperto altre maniere di vivere, un altro modo di guardare la realtà,  con occhi diversi rispetto a quelli di tuo padre e di tuo zio. Hai cominciato a leggere, a studiare. Eri bravissimo a scuola, ricordava con orgoglio tua madre. Ti saresti voluto iscrivere a Giurisprudenza, ma, visto che nella tua famiglia c’erano pregiudicati, hai dovuto ripiegare su Filosofia. Con quattro amici ti sei messo a stampare un giornaletto ”L’idea socialista” e ti sei dato con passione alla politica. “Chi mi leva la politica, mi leva tutto”, dicevi. Tua madre, che silenziosamente e ostinatamente ti è stata sempre accanto, ricordava sorridendo che con mille lire ti sentivi ricco, perché potevi comprare (allora) tutti i giornali. “Dirigente politico di un partito che non c’era”,  ti ha affettuosamente definito un tuo amico. Sì, perché anche se il tuo impegno si collocava nell’area della sinistra, tu eri oltre, più avanti degli altri, eri più acuto e lucido dei tanti compagni di allora.

Tu hai dovuto andartene di casa, per lottare contro la mafia e incarnare con coerenza nella tua vita le idee politiche di una vera opposizione al sistema clientelare e mafioso. Interpretavi e analizzavi con sagacia le alleanze e gli interessi che muovevano gli affari di Cinisi e del territorio circostante. E facevi nomi e denunce precise. Proprio per questo ti hanno ucciso. Non tanto e non solo perché a Radio Aut il venerdì sera facevi ridere mezza Cinisi chiamando “Geronimo” il sindaco Gero Di Stefano e “Il grande capo Tano seduto” il mafioso Tano Badalamenti, ma perché nel Consiglio comunale di Cinisi-Mafiopoli volevi entrarci a pieno titolo come consigliere comunale, candidato nelle liste di Democrazia Proletaria. E proprio di questo il potere politico-mafioso aveva paura.

“Peppino Impastato è stato ammazzato dalla mafia”. Ci sono voluti più di vent’anni e la coraggiosa  e ostinata perseveranza dei tuoi amici, che dopo la tua morte si sono messi a raccogliere le pietre rosse del tuo sangue, c’è voluto anche un film di successo (“I cento passi”) perché quello che con coraggiosa chiarezza avevano subito affermato i compagni di Democrazia Proletaria divenisse anche verità giudiziaria e memoria storica per tutti gli italiani.

Caro Peppino, avevo voglia di scriverti proprio per scusarmi e per ringraziarti.

Per scusarmi di non avere subito creduto alla verità sulla tua morte: nel ‘78 avevi solo trent’anni, ma eri anni luce più avanti di me. E di quei tanti che, come me, solo dopo il tuo assassinio hanno cominciato a interrogarsi su quel terribile mostro di casa nostra che è la mafia. E a capire che contro la mafia ognuno deve combattere la sua battaglia: chi in famiglia, chi a scuola, chi nei posti di lavoro, chi in negozio, chi nei condominii, chi nei palazzi del potere, chi nella pubblica amministrazione, chi in politica. E per ringraziarti della tua testimonianza di siciliano libero: libero dai condizionamenti mafiosi della tua famiglia d’origine, libero dagli schemi logori e stantii dell’appartenenza politica, libero di ridere ridicolizzando i rappresentanti di ogni tipo di potere, perché non avevi padroni.

Caro Peppino, i tuoi carnefici hanno orribilmente seviziato il tuo corpo, ma il tuo spirito libero, ironico e intelligente nessuno mai potrà ucciderlo. E la tua anima riscalderà sempre i nostri sogni di libertà e di giustizia

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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