ROMA – A chi non è mai capitato di parlare di una splendida età dell’oro riferendosi ad un passato mitologico in cui l’uomo era “semplicemente” felice? La credenza che sia esistita un’epoca in cui la vita trascorreva gioiosa tra balzi, gioghi e boschi, tra animali di ogni specie che convivevano con gli uomini, è comune a tutte le culture, anche lontane tra loro. Miti di diversi paesi parlano di un tempo non meglio precisato cronologicamente, lontanissimo, in cui la morte arrivava come un sonno dolce e non esistevano malattie, in cui per vivere non ci si doveva affaticare con il lavoro perché la terra offriva generosa i suoi frutti a tutti gli uomini. Essi trascorrevano il loro tempo a banchettare e ascoltare il cinguettio degli uccellini o Pan suonare il flauto. Non si faceva la guerra per spartirsi nulla. Tutto era di tutti e quindi non esisteva neanche la proprietà privata, concetto che poi si è prestato a molte interpretazioni.
E’ normale che di un mito così più ideologie si siano appropriate, nella storia, anche in modi opposti. Anche il racconto biblico di Adamo e Eva rientra in questa credenza, ma la nostra mentalità discende diretta dal mito classico dell’età dell’oro di cui parlò per primo, nella cultura occidentale, Esiodo il cui modo di interpretare i comportamenti dell’uomo ha influenzato la nostra mentalità ed è stato utilizzato – potremmo dire strumentalizzato a fine propagandistico – in vari momenti storici. Dopo Esiodo, che è il più antico arrivato fino a noi e visse all’inizio del VII secolo a.C., infatti, scrittori greci e latini si riferirono a questo mito per interpretare a loro modo momenti storici salienti.
Nel suo poema “Le opere e i giorni” il poeta aveva suddiviso la storia in cinque epoche ma quel che interessa in questa sede è che, dopo la prima età dell’oro (che lui indica come quella degli “uomini d’oro”), egli vedeva avvicendarsi quella, terribile, del ferro. Essa, secondo il poeta greco, si caratterizzò per l’ingiustizia e la tracotanza, la “ubris” dell’uomo sfrontato davanti agli dei e che vuole prevaricare sul suo simile e sulla natura. La visione di Esiodo è molto pessimista, atteggiamento tipico dei greci. “Mai avrei voluto trovarmi con questa stirpe di uomini: ma o prima morire o nascere dopo”, scrive lo stesso Esiodo nella sua opera. Il brutto è che lui ci era nato già dentro, a questo tempo che gli ripugnava, che perdura ancora ai nostri giorni e di cui ci lamentiamo spesso evocando quella dimensione onirica che non c’è più o forse non c’è mai stata. Esiodo, poi, continua la descrizione di questi uomini “di ferro” dicendo che essi “non cesseranno di distruggersi per la fatica né di giorno né di notte”, e che gli dei concederanno loro “beni mescolati ai malanni”, che ”praticano violenza, malvagità e gelosia”, mali contro cui “non vi sarà difesa alcuna”.
Questo valeva per i Greci, che non vedevano via d’uscita per la tragica condizione umana, ma poi vennero i Romani e da allora la letteratura latina ci ha raccontato un’altra storia anche se solo per un breve periodo. Nel 40 a.C., dopo l’uccisione di Cesare e mentre Roma è scossa da una guerra civile che rende il futuro quanto mai incerto, Virgilio nella IV Ecloga prevede (e con ciò si conquista la fama di “profeta”), la nascita di un fanciullo destinato a porre fine all’età del ferro e, appunto, a dare inizio a quella dell’oro. Al di là dell’identificazione di questo fanciullo che ha sempre diviso gli storici (è Gesù? È Augusto?), rimane il fatto che Virgilio intravede nel futuro una nuova, fulgida fase per la città di Roma (e dell’Impero). Ciò avviene per la prima volta: l’età dell’oro, infatti, è stata sempre immaginata nel passato, tra l’altro un passato molto remoto. Ma tant’è.
Quando si è in politica e l’arte (e che arte!) è funzionale alla propaganda, può succedere anche questo. Per dirla con lo storico Alessandro Barbero, con questa profezia Virgilio, futuro poeta “di Stato”, “fa una scelta di campo” rimanendo a Roma nonostante l’aria brutta che tirava. Rimane a Roma, la città che di lì a pochi anni sarà la sede del principato Augusteo. Ma oltre a schierarsi, il Poeta ci dice di più: che prima dell’affermazione di questa età d’oro l’uomo sarà colpevole ancora di atti violenti tipici di quella del ferro: solcare il mare con le navi e arare la terra assoggettando i buoi al giogo. C’è una forte componente “bioetica” in questo modo di vedere il lavoro dell’uomo – la cosiddetta tecnica – come un’aggressione contro la natura e tutti i suoi elementi e anche come l’origine di tutti i conflitti umani e le guerre per la conquista del potere. Ma è un modo per adulare il futuro imperatore: l’età augustea, guarda caso, si connota per essere un periodo di pace sulla quale l’imperatore con lungimiranza mette la sigla facendo costruire l’Ara Pacis. Poi chiude il tempio di Giano, simbolicamente aperto in tempo di guerra e completa l’opera con dei provvedimenti atti a valorizzare la crescita economica del Paese.
Cosa può somigliare di più ad una età dell’oro? Con il “princeps” Augusto si aprì veramente un’età di ricchezza e di pace ma poi, scomparsi lui e pure Virgilio, è noto che la casa imperiale, da Tiberio a Nerone, si corruppe di nuovo. La storia ci racconta del sangue versato a causa degli inganni, dei vizi, dell’avidità di potere, della prevaricazione e dello sfruttamento dei più deboli, dell’emarginazione dei diversi, che la fame e la povertà attanagliavano nella suburra. Altro che età dell’oro preannunciata da Virgilio! Essa durò poco e i lustrini dell’Impero non riuscirono a nascondere, dietro all’immenso potere conquistato da Roma solcando i mari e scavando nelle viscere della terra, il trionfo di una nuova età del ferro ancora oggi mai terminata e probabilmente l’unica mai veramente esistita. Nostalgie a parte.
Gloria Zarletti
Sono affascinato da quanto da lei descritto,grazie.