NAPOLI – Spostandomi la scorsa settimana nel comune dove i miei genitori hanno avuto origine e dove per molti anni ho contribuito alle (buone) sorti calcistiche della squadra di calcio, ho vissuto, assieme a mio figlio quattordicenne, come spesso succede, attimi di grandi perplessità. Ci si chiedeva come potessero vivere circa mille anime in un paesino come quello, bello ma fondamentalmente spoglio di persone, di quella necessaria confusione alla quale siamo, ahimè, abituati. Ricco di ciò che, invece, nelle grandi città sostanzialmente manca: il silenzio.
Essendomi trasferito da circa trent’anni in una grande città come Napoli dove, nonostante la confusione, il traffico, c’è comunque una vasta gamma di opzioni nel quotidiano. Alternative che spesso si danno per scontate ma che prepotentemente si impongono quando ti trovi da solo in un paesino e tutte queste non le trovi nella maniera più assoluta. Negozi, cinema, scuole, gente, folla, servizi di ogni genere, musei, mezzi di trasporto, arte, …
Mio figlio mi chiedeva: “Ma come si fa a vivere qui, dove non c’è nessuno, per strada non incontri anima viva e devi spostarti nei bar per trovare un po’ di compagnia?”.
Sembra che tutto sia immobile, che tutto resti fermo, eternamente lo stesso. Poi ci penso e, considerando la gioventù vissuta in quei luoghi. ho solo bei ricordi. Sensazioni di riposo, di libertà, di sicurezza, di genuinità e che, stranamente non ho nella grande città dove spesso sono costretto ad avere a che fare proprio con una realtà fatta di insicurezza, paure, ansie, pericoli, multe… Al di là di certe considerazioni legate ad esperienze personali, quello che si riscontra da diversi anni è che tante persone, con l’andare del tempo, stanno considerando la possibilità di spostarsi in questi piccoli centri.
Sembra che il futuro dell’Italia sia nei Piccoli Comuni. E’ in questi caratteristici borghi in cui il tempo pare essersi fermato, dove si respira aria pulita, i ritmi scorrono più lentamente e l’enogastronomia favorisce una dieta capace di valorizzare i territori, che l’uomo dovrebbe tornare. Vita agreste, passo più leggero e sguardo ancora capace di fermarsi sui volti. E magari di conoscere anche i nomi dei vicini di casa. Ce lo hanno ricordato di recente anche i noti architetti Stefano Boeri e Massimiliano Fuksas che, intervistati, hanno entrambi sostenuto la necessità di incoraggiare la dispersione residenziale, una sorta di “fuga dalla città”, come risposta alla pandemia del Covid-19. “Fuga dalla città” verso i Piccoli Comuni, le campagne, i posti al momento meno popolosi. Spazi aperti ed incontaminati.
In quanto agli agi ed i servizi offerti dalle città e dai grandi centri urbani, in molti dei Piccoli Comuni mancano ancora oggi. E queste mancanze, in una valutazione complessiva di modifica del proprio ambiente e stile di vita, potrebbe incidere e non poco nella scelta. Nei piccoli comuni c’è vita più di quanta se ne possa immaginare, ma questi territori lottano di continuo contro l’abbandono insediativo.
L’obiettivo è che vengano messe in atto misure di sostegno per i Piccoli Comuni. La pandemia ha posto all’attenzione di tutti la necessità di ripensare l’organizzazione e la fruizione dei territori e in questo anche il ruolo che i Piccoli Comuni hanno nella tenuta delle comunità. Al centro delle infrastrutture per la ripartenza dell’economia dovrà necessariamente esserci la connessione veloce come diritto di cittadinanza. Ancora oggi oltre quasi quattromila Comuni sono sprovvisti di linea dati veloce, più di mille Comuni non ricevono un segnale stabile per la telefonia mobile e quasi 5 milioni di italiani non ricevono adeguatamente il servizio televisivo.
Ma questa è una precondizione perché i territori e le comunità possano essere protagoniste della rinascita del Paese? Basterebbe quindi una super connessione per equiparare la vita delle grandi metropoli a quella dei piccoli paesi? Il futuro è realmente legato alla connessione ad internet? Oppure la ripresa è legata al riconsiderare una “normalità” di vita fatta di umanità, di contatti, di semplicità, di tradizione, di serenità? Troppo utopistico?
E’ probabilmente sogno condiviso da molti quello di vivere in ambienti meno inquinanti, stressanti, strombazzanti. Insomma, luoghi a misura d’uomo e di bambini, dove poter vivere senza rinunciare a tutti i servizi ed i comfort a cui oggi siamo tutti abituati. Perché forse davvero il futuro è nei Piccoli Comuni, che rappresentano circa il 54% del territorio italiano. Territori che puntano su innovazione e sostenibilità, turismo di prossimità, valorizzazione e tutela dell’ambiente, percorsi enogastronomici, promozione di culture e tradizioni. Sono questi gli ingredienti a cui puntano i Piccoli Comuni per contrastare lo spopolamento e la riduzione dei servizi essenziali.
Raccontarlo a chi ha sempre vissuto nei grandi centri urbani non è facile.
Innocenzo Calzone
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