ROMA – “O graziosa luna, io mi rammento che…”: questo l’incipit del giovanile (1819) e bellissimo idillio di Giacomo Leopardi. L’astro – non solo in questa poesia sua, ma in quella italiana e certamente mondiale del periodo precedente e non, nella letteratura e nell’arte – collega il poeta al Romanticismo. Ma per noi la cosa assume un valore molto, molto più ampio e doloroso: chi, in questo nostro oggi, tanto instabile, violento (la cui disumanità si cela spesso dietro il successo della scienza) trova il tempo e il desiderio dell’anima per arrestarsi, e volgere gli occhi alla luna? A questo impulso, divenuto metafora di chi ha tempo da perdere, si sostituisce la figura dell’uomo o della donna in carriera, veloci, spregiudicati, calcolatori. E abilissimi maneggiatori di telefonini e computer nella quotidianità, tra l’altro superati dai bambini già da lunga pezza.
E a questo punto, in modo insensibile, nel giro dei pochi mesi dallo scoppio della pandemia di coronavirus, il video domestico è diventato il “re della casa”. Nel senso che, sospesa la scuola tradizionale con libri e quaderni, dalle mura delle primarie a quelle delle Università, travolto il protagonismo del libro e della cattedra, tutti gli allievi (compresi i piccoli di sei anni), si sono dovuti convertire all’uso del computer in casa (preparato ad hoc). Contentezza universale: degli alunni per l’emancipazione dal controllo dei docenti (e dei bidelli), e dai non pochi oneri scolastici, guadagnando un mai assaporato senso di libertà. Contentezza anche di una politica scolastica per l’evidente risparmio di personale docente e amministrativo, oltre che dei complessivi costi di manutenzione.
Ma questo è il vero “punto quotidiano”, che invece sta rovesciando la realtà della scuola non solo italiana: e proprio gli allievi dai 6 anni all’età adulta se ne sono fatti portatori. Essi hanno creato assembramenti dinanzi alle scuole, o gruppi seduti lungo i muri esterni, coi blocchetti-notes, per descrivere una vita scolastica senza vita, durante il lookdown, per denunciarne l’assenza di contatti, di dialogo, nell’improduttivo silenzio della scuola online, persino coi docenti. Mancava loro la socialità, il rapporto diretto e parlato fra loro e con gli insegnanti, che il computer non restituisce: come infine non garantisce la crescita, e lo sviluppo di sé.
Ma il vantaggio economico che la sostituzione del docente col mezzo digitale comporta (vantaggio che per le famiglie con più di un figlio è un aggravio), è troppo grande per non far gola al Ministero. Perciò la Scuola dove la lettura comune di un testo fra allievo e professore – da cui nasce preziosa una domanda, un nuovo interesse, “la Scuola” insomma – sta così morendo. Come dono per il prossimo anno dunque, vorremmo il ripristino di una istituzione scolastica “in presenza” che, nonostante le innegabili carenze, torni a produrre come finora è riuscita a fare; richiesta proveniente a gran voce dai ragazzi stessi, per lo più solo critici in passato, ma che ora hanno dato prova di maturazione e pienezza di ragionamenti, fine ultimo peraltro del precedente tipo di insegnamento “in presenza”.
Paola Pariset
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