Impaurita, insicura, preoccupata. E’ la fotografia dell’Italia alla fine del 2020 (anno più che horribilis) scattata dal Censis nel consueto rapporto che analizza la situazione fornendo interessanti spunti e approfondimenti che magari dovrebbero essere utilizzati per capire meglio come muoversi per uscire dalle secche e per rinnovare il nostro modello di vita. “Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti”: l’immagine è forte e colpisce per la crudezza, ma descrive perfettamente lo stato dell’arte in questo nostro splendido, ma disgraziato Paese. Provate ad immaginare di salire su una bicicletta con le ruote quadrata: un enorme dispendio di energie per percorrere solo pochi metri. Ecco cos’è oggi la nostra Italia. Un disagio che si trascina da decenni e che la pandemia ha acuito in maniera profonda. “Uno degli effetti provocati dall’epidemia – sottolinea ancora il Censis – è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d’allarme le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, del tutto evidenti oggi nelle debolezze del sistema e pronti a ripresentarsi il giorno dopo la fine dell’emergenza più gravi di prima”.
Alcuni numeri esprimono meglio quanto profondo e diffuso il disagio: “Il 73,4% degli italiani – sottolinea il Censis – indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente, inoltre il 57,8% è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale. Il 38,5% poi è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni”.
E ancora: “Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento. Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza (che siano politici, dirigenti della sanità o altri), deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro. Oltre al ciclopico debito pubblico, le scorie dell’epidemia saranno molte. Tra antichi risentimenti e nuove inquietudini e malcontenti, persino una misura indicibile per la società italiana come la pena di morte torna nella sfera del praticabile: a sorpresa, quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani)”.
“Per l’85,8% degli italiani – spiega il Rapporto – la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione ‒ una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà: un silver welfare informale. Poi si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive. Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende. C’è quindi la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva. C’è poi l’universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore”.
Particolarmente sentito il tema del lavoro: rispetto all’anno scorso, nel terzo trimestre sono già 457.000 i posti di lavoro persi da giovani e donne, il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro). E sono 654.000 i lavoratori indipendenti o con contratto a tempo determinato senza più un impiego. Il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. E l’Europa? Solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie, a fronte di una media Ue del 43%: siamo ultimi nella graduatoria europea. La percezione delle istituzioni comunitarie nell’immaginario collettivo degli italiani resta però positiva per il 31%, è negativa per il 29%. Tuttavia, il 58% degli italiani si dice insoddisfatto delle misure adottate a livello comunitario per contrastare la crisi del Covid-19 (una percentuale superiore alla media Ue: 44%).
Il Censis non ha mezze misure: bisogna cambiare e bisogna farlo anche in fretta perché alla fine dell’epidemia (speriamo presto) i problemi saranno ancora più gravi.
Buona domenica.
Ps. Il Covid si è portato via anche Tonino: se ne è andato da solo, in silenzio e senza l’ultima carezza. Buon viaggio, amico mio.
La tua penna come una farfalla.