La biomassa presente sul pianeta Terra è composta per il 97,3% da vegetali, il restante 2,7% è composto per due terzi da insetti e per un terzo da uccelli, pesci, rettili e mammiferi. L’uomo, la razza umana, il cosiddetto padrone del mondo, è soltanto lo 0,01 per cento dell’intera biomassa mondiale. Così pochi e così intelligenti – come amiamo definirci – che nel brevissimo lasso di tempo dalla nostra comparsa sulla terra (300 mila anni fa rispetto ai 4 miliardi e mezzo dalla nascita della prima forma di vita) siamo riusciti, per nostra unica colpa, a estinguere animali, foreste, mare e fiumi. Un comportamento autodistruttivo (non certamente intelligente) che negli ultimi trecento anni, con l’affermarsi dell’era industriale, ha provocato una crisi climatica e ambientale che preannuncia la fine stessa dell’umanità.
Tante e tutte affidabili le voci che s’alzano dal mondo scientifico internazionale nonostante ancora ci sia chi, anche di fronte all’evidenza, nega la portata di gravi problemi ambientali causati dai comportamenti innaturali degli uomini.
L’ultimo allarme in ordine di tempo arriva dal Wwf che in occasione della pubblicazione del rapporto biennale “Living Planet Index” afferma che “in mezzo secolo oltre due terzi della fauna selvatica mondiale sono stati annientati e le cause sarebbero da ricercare principalmente nella distruzione degli habitat naturali: deforestazione ed espansione delle coltivazioni”. Secondo gli scienziati e gli esperti sparsi in ogni angolo del mondo tra il 1970 e il 2016, questi soli fattori avrebbero determinato il 68% del calo della fauna mondiale. “Siamo in caduta libera – sottolinea Tanya Steele, amministratore delegato del Wwf – mentre bruciamo foreste, peschiamo troppo nei nostri mari e distruggiamo aree selvagge”.
A farne le spese, secondo gli esperti, numerosi animali: dagli elefanti ai gorilla, dagli orsi ai pappagalli ma anche uccelli, pesci e rettili. Le aree tropicali sono quelle maggiormente interessate, con un calo record del 94% in America Latina e Caraibi.
“Un declino che è una chiara prova del danno che l’attività umana sta arrecando al mondo naturale”, ha dichiarato alla Bbc Andrew Terry, direttore della conservazione presso la Zoological Society of London (ZSL), che rileva scientificamente lo stato di salute del pianeta e ha fornito i dati per il rapporto. E ha aggiunto: “Se non cambia nulla le popolazioni continueranno senza dubbio a diminuire, portando la fauna selvatica all’estinzione e minacciando l’integrità degli ecosistemi da cui dipendiamo”.
I dati recenti sono drammatici, gli esperti hanno registrato una nuova accelerazione nella caduta della biodiversità che si era attestata al 60% durante l’ultimo rapporto del 2018 (periodo 1970/2014) e che adesso, secondo quanto afferma Marco Lambertini, direttore del Wwf International “è in caduta libera e continua ad accelerare nella direzione sbagliata”
Una tragedia che dal punto di vista economico ci costerà 480 miliardi di dollari all’anno, raggiungendo 10 trilioni di dollari entro il 2050. Wwf, Global Trade Analysis Project e il rapporto Global Futures del Natural Capital Project hanno calcolato gli impatti economici del declino della natura. E la continua perdita di biodiversità impedirà, sempre secondo il Wwf, il raggiungimento della maggior parte degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, compresa la riduzione della povertà e la sicurezza alimentare, idrica ed energetica.
L’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), che ha valutato più di 100mila specie di piante e animali, con oltre 32mila specie a rischio ha valutato che un milione di specie (500mila animali e piante e 500mila insetti) potrebbero sparire entro i prossimi 10 anni.
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