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Via D’Amelio, strage che cambiò l’Italia

di | 2020-07-19T06:41:30+02:00 19-7-2020 6:00|Personaggi, Sezione 1|0 Commenti

PALERMO – Tutti i palermitani ricordano dov’erano la domenica pomeriggio del 19 luglio 1992. Chi scrive, si trovava per qualche giorno in vacanza nell’isoletta di Ustica, dove fu raggiunta dalla telefonata angosciata della sorella che diceva: “Maria, il ‘botto’ si è sentito anche qui, alla Stazione centrale: hanno ammazzato con un’autobomba il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, sotto casa di sua madre…”.

Dopo questa notizia, l’azzurro del mare di Ustica perse la sua luce e il rientro in città fu anticipato.

Ci sono eventi spartiacque nella storia di un Paese. Non si può dire con certezza se sia stato l’eccidio di via D’Amelio a mutare la storia della mafia e dell’antimafia in Italia. Ma quello che si può affermare è che ha cambiato radicalmente – si spera per sempre – la percezione del fenomeno mafioso nei palermitani e negli italiani tutti. Dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, davanti ai brandelli dei resti umani del giudice Borsellino e dei cinque agenti della scorta – sparsi sugli alberi, sul marciapiede sulle auto posteggiate, sul portone d’ingresso… poveri resti che la fotografa Letizia Battaglia non ha avuto cuore di fotografare – nessuno ha più potuto essere equidistante da mafia o antimafia.

Nessuno ha più potuto pensare di trattare con Cosa Nostra. Finalmente la maggior parte dei palermitani, e degli italiani, ha capito che parteggiare per lo Stato di diritto e combattere la violenza mafiosa è una questione primaria, che riguarda il senso dell’umano e l’etica, prima ancora che l’economia, la giurisprudenza e la politica.

Ma chi era il giudice Borsellino? Era un magistrato integerrimo, grande amico di Giovanni Falcone, la cui morte aveva pianto con rabbia e disperazione, capendo di essere anche lui nel mirino di Cosa Nostra. Il magistrato Massimo Russo – nel 1990/91 giovanissimo procuratore aggiunto aL fianco di Borsellino – in una recente intervista ha ricordato il concetto altissimo che della sua professione aveva il magistrato ucciso, professione sottratta a ogni calcolo e interesse personale e caratterizzata dal senso del sacrificio come regola di vita.

Paolo Borsellino, cattolico praticante, nella vita privata era un marito affettuoso, felicemente sposato con la signora Agnese Piraino Leto e padre amorevole di Lucia, Manfredi e Fiammetta. Legatissimo alla famiglia di origine, come ogni domenica stava andando a trovare l’anziana madre Maria Pia in via Mariano D’Amelio 21, nel palazzo dove abitava anche la sorella Rita, che, dopo l’assassinio di suo fratello, smise di occuparsi solo della sua farmacia e scelse la via dell’impegno politico per lottare contro la mafia.

Dopo quattro processi e tanti depistaggi, non c’è ancora chiarezza giudiziaria sui mandanti dell’uccisione. I tre figli del giudice continuano a chiedere alle Istituzioni preposte che sia fatta luce sui tanti, troppi aspetti oscuri di questa strage.

E tale rimane l’auspicio di tutti. Perché al sacrificio del giudice Borsellino e degli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e anche prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina sia resa verità e giustizia.

Maria D’Asaro

 

 

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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