Sono passati quarant’anni da quel terribile 27 giugno 1980 quando il Dc9 Itavia in volo da Bologna a Palermo si inabissò nel mar Tirreno nella zona compresa tra le isole di Ponza e Ustica. Alle 20,59 il controllo aereo di Roma Ciampino perse il contatto radar con il velivolo. A bordo 91 persone, tra passeggeri ed equipaggio: 69 adulti e 12 bambini. Tutti morti.
Quarant’anni di bugie, depistaggi, ricostruzioni parziali e costruite a tavolino per proteggere e salvare qualcuno. Un castello di menzogne (che piano piano sono state demolite) messo in piedi soprattutto da apparati dello Stato, ai più alti livelli istituzionali. Che cosa accade quella terribile notte oggi in gran parte è noto, ma c’è voluto (troppo) tempo per sgretolare e abbattere il muro di gomma delle omertà, delle collusioni, delle falsità. C’è voluta l’inchiesta di un giornalista coraggioso come Andrea Purgatori (allora al Corriere della Sera) che smascherò i depistaggi dei più alti vertici delle Forze Armate. C’è voluta la testardaggine dell’Associazione dei parenti delle vittime, guidata da Daria Bonfietti, che non ha mai mollato e che è stata di stimolo e di supporto alle indagini. C’è voluto il lavoro, complicato e appassionato, di alcuni magistrati, in primis il giudice istruttore Rosario Priore che nel 1999 emanò una sentenza-ordinanza in cui veniva smontata pezzo per pezzo la tesi del cedimento strutturale che per 19 anni era stata sostenuta ufficialmente contro ogni evidenza logica e tecnica.
No, quell’aereo non collassò improvvisamente per un qualche cedimento strutturale o per una qualche avaria o per lo scoppio di una bomba a bordo. Fu colpito da un missile o, in seconda ma più improbabile istanza, per la cosiddetta near collision, cioè per un’esplosione dovuta alla presenza di un altro aereo che viaggiava molto vicino al Dc9. Ecco, la verità che emerge in maniera prepotente e definitiva è un’altra: il velivolo Itavia esplose per un evento esterno. Già, ma cosa accadde davvero? Impossibile ripercorrere passo dopo passo le varie fasi delle indagini. Basti ricordare, una famosa intervista del 2008 di Francesco Cossiga (ex presidente della Repubblica e presidente del Consiglio in quel giugno 1980), che accusò senza mezzi termini un paese della Nato, la Francia, di aver fatto alzare in volo un caccia dalla portaerei Clemenceau, alla rada nel golfo di Napoli, per inseguire e colpire un Mig libico nel quale si riteneva fosse a bordo il colonnello Gheddafi, allora rais indiscusso della Libia e nemico dichiarato dell’Occidente. Quel Mig libico era effettivamente in volo quella notte e si “nascose” ai radar italiani proprio ponendosi nella scia del Dc9 Itavia. In estrema sintesi, il pilota francese lanciò il missile per colpire l’aereo libico e colpì per sbaglio l’aereo civile che lo precedeva in cielo di qualche miglio.
Un terribile errore, insomma. Avvalorato non solo dai tracciati radar registrati dalle apparecchiature militari sparse in diverse zone d’Italia, ma anche dal fatto che sulla Clemenceau la notte del 27 giugno ci fu un suicidio sospetto: si pensa al pilota del caccia, sconvolto dal rimorso quando si rese conto di aver provocato la morta di decine di civili innocenti. Ma ci sono altri suicidi sospetti in questa lunga e dolorosa storia: diversi militari in servizio quella sera si sono tolti la vita nel corso degli anni successivi alla tragedia e con modalità in alcuni casi abbastanza “strane”. E poi c’è il mistero del Mig libico schiantatosi sulle montagne della Sila in Calabria. I resti furono ritrovati a metà luglio, ma ai medici bastò costatare l’avanzato stato di decomposizione del corpo del pilota per stabilire che la morte era avvenuta una ventina di giorni prima, esattamente in coincidenza con la battaglia aerea della sera del 27 giugno 1980.
Sì, nei cieli italiani quella notte ci fu battaglia e il volo Itavia si trovò nel momento e nel posto sbagliati. Ma quel che più conta è che per decenni si fece di tutto per nascondere la verità attraverso la complicità di consistenti apparati dello Stato, anche se va aggiunto che i vari processo a carico dei più alti esponenti delle Forze Armate si sono conclusi con assoluzioni. Ancora oggi, a distanza di quarant’anni, non c’è ancora una verità certa su quello che accadde nei cieli di Ustica. Ancora oggi i parenti di quelle 81 vittime chiedono di sapere e non vogliono arrendersi. Bisognerebbe esigere con forza dagli stati stranieri coinvolti nella vicenda tutti i documenti e le testimonianze utili a ricostruire ciò che accadde davvero quella terribile notte. Lo dobbiamo per onorare la memoria di quelle 81 vittime innocenti. Lo dobbiamo per la credibilità dello Stato.
Buona domenica.
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