//Etiopia, il lupo ritrovato grazie agli italiani

Etiopia, il lupo ritrovato grazie agli italiani

di | 2020-05-31T06:29:11+02:00 31-5-2020 6:37|Top Blogger|0 Commenti

Da 120 anni di lui non si avevano più notizie, nessuno lo aveva più cercato e non se ne era più parlato. Finito nel dimenticatoio della scienza. L’ultimo a descrivere il lupo rossastro etiope – nome scientifico Canis mengesi – fu, nel 1897, lo zoologo tedesco Theodor Noack. Poi più nulla. Fino ad oggi neanche sul sito dello Iucn, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, se ne trovano tracce.
Adesso grazie al lavoro di due ricercatori italiani, pubblicato dal Bonn Zoological Bullettin, si viene a sapere che il lupo rossastro forse non si è estinto e potrebbe ancora abitare quelle terre desertiche. Spartaco Gippoliti, romano, della Società italiana per la Storia della fauna, e Luca Lupi (nella foto in basso, a destra), di Pontedera (Pisa), guida naturalistica, uno dei massimi esperti multidisciplinari della Dancalia, ne sono convinti.
Nella parte più settentrionale della Dancalia, la regione dei nomadi Afar al confine tra l’Etiopia nord-orientale e l’Eritrea, in una depressione tettonica di 50 mila km quadrati (di cui 10 mila sotto il livello del mare) dove nel periodo fresco il termometro tocca i 40 gradi e d’estate si arriva fino a 55, a gennaio del 2018 Luca Lupi, che da quelle parti è di casa, durante l’ennesima spedizione ha incontrato il misterioso animale riuscendo anche a fotografarlo. Delle dimensioni di una volpe, in quella zona dell’Etiopia non erano mai stati rilevati dati relativi a qualsiasi animale del genere Canis.
“La foto di Luca è rimasta in una cartella del mio computer per un anno e mezzo – racconta Spartaco Gippoliti – sino a che mi sono deciso ad approfondire degli articoli tedeschi sulla variabilità degli sciacalli dorati africani ed è emersa l’interessante storia del Canis mengesi, lupo delle dimensioni di una nostra volpe. Benché ci siano moltissimi aspetti da approfondire con ulteriori studi morfologici e genetici, la nostra interpretazione dei pochi dati disponibili è stata valutata positivamente da quattro tra i maggiori studiosi di mammiferi a livello mondiale”.
Dopo un’accurata revisione della letteratura e un preliminare confronto dello scarso materiale disponibile nei musei, i due studiosi sono giunti alla conclusione che esiste nel Corno d’Africa un piccolo sciacallo con una distribuzione geografica limitatissima e probabilmente frammentata, descritto scientificamente dallo zoologo tedesco Theodor Noack con il nome di Canis mengesi, dal nome dell’esploratore che lo aveva catturato, Joseph Menges.
Il “Canis mengesi” sembra sicuramente assente dalle aree costiere e meridionali della Dancalia, le più conosciute, e si troverebbe limitato alle aree più interne, dove abbondano territori rocciosi di origine lavica. Questa ipotesi dovrebbe guidare le future ricerche da svolgere in Somalia per trovare anche le popolazioni da cui fu originariamente descritta la specie.
L’importante contributo dei due ricercatori italiani fornisce una ulteriore prova che la conoscenza integrata della tradizionale letteratura zoologica e la conoscenza della geomorfologia e della biogeografia rimangono aspetti importanti per comprendere la biodiversità del nostro pianeta.

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