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Letizia Battaglia, foto di mafia e di riscatto

di | 2020-05-22T20:30:01+02:00 24-5-2020 6:10|Personaggi, Sezione 3|0 Commenti

PALERMO – Forse non tutti sanno che Letizia Battaglia, 85 anni portati con grinta e voglia di vivere, insignita di numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali per la qualità e lo spessore umano delle sue foto, è stata la prima donna/fotografo a lavorare in Italia per un quotidiano. Si trattava de “L’Ora” di Palermo, punta di diamante nella lotta alla mafia e alla corruzione. Con le sue foto, ha documentato il bagno di sangue causato dalla mafia palermitana negli anni ’70 e ’80, con i tanti assassini di uomini dello Stato: suo è lo scatto del 6 gennaio 1980 che ritrae l’assassinio del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, con il fratello Sergio che tenta di soccorrerlo. Definita “la fotografa della mafia”, la fotoreporter non ha mai gradito tale appellativo, ritenuto parziale e riduttivo.

Il presidente Sergio Mattarella soccorre il fratello Piersanti, colpito dalla mafia

Ecco come lei stessa si racconta nel docufilm del 2019 “Shooting the mafia”: “Ho cominciato a fotografare a 40 anni. All’inizio facevo foto orribili. Poi, piano piano, le foto sono migliorate e mi sono accorta che mi ero innamorata di ciò che potevo esprimere con la fotografia e che non riuscivo ad esprimere con la scrittura. Così, è iniziata una sorta di storia d’amore con le foto. La macchina fotografica è stata la vera chance della mia vita, mi ha fatto diventare una persona. E mi è piaciuto raccontare le storie con le mie fotografie”. Letizia Battaglia non si è limitata a narrare le storie di bambini, donne, strade, feste, quartieri, usanze della città di Palermo. Con il suo obiettivo, ha raccontato in modo magistrale e toccante la Storia siciliana – e italiana – dell’ultimo cinquantennio.

Dopo solo tre giorni dall’inizio del lavoro al giornale “L’Ora” c’è stato il primo morto ammazzato da fotografare, ucciso in una campagna vicino Palermo, a terra tra gli ulivi, immobile da un numero interminabile di ore: “L’odore era insopportabile. La foto del primo omicidio non si scorda mai”. Con la forza coraggiosa che la contraddistingue, all’inizio dovrà lottare e urlare per occupare lo spazio che le spetta come fotoreporter: “La RAI passa, i fotografi maschi passano, io perché no?”. Poi, quando inizia la guerra di mafia a Palermo, i morti li fotografa tutti: “Certe volte fotografavo cinque omicidi in un giorno, una volta persino sette. Non era mai successa una mattanza simile. Una volta in un anno furono compiuti più di mille omicidi”. “Era complicato far capire che era per amore che fotografavo … è imbarazzante condividere il dolore con una macchina fotografica”.

Sarà lei a fotografare l’assassinio del procuratore Scaglione, quello del giudice Gaetano Costa, in pieno centro cittadino. Sarà sempre lei, nel 1979, a scattare la foto che ritrae Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo compromesso con Cosa Nostra, vicino all’onorevole Andreotti. E scatterà quella ancora più compromettente, del presidente Andreotti con l’esattore Nino Salvo. E’ sua la foto del boss mafioso Luciano Liggio che, ammanettato, entra per la prima volta in tribunale, e cammina davanti ai poliziotti a testa alta, come se fosse lui il carceriere. Ricorda ancora lo sguardo di Liggio che sembrava sfidarla e minacciarla, dietro gli occhiali. “So che se avesse potuto, mi avrebbe ammazzato. Pensa come si sentivano loro, i mafiosi, a essere fotografati da una donna. Erano così pieni della loro autorità. Io tremavo. Ma tremavo di emozione, non di paura. I boss davano una tale sensazione di potere crudele e tu li stavi sfidando”. A Letizia e a Franco Zecchin, collega fotografo e suo compagno di vita per oltre vent’anni, sono arrivati avvertimenti di ogni genere: macchine fotografiche distrutte, sputi in faccia, lettere anonime, minacce di morte per telefono. Ma Letizia non ha mai dato spazio alla paura: “Io non devo avere paura. Non posso avere paura. Mi sento libera, perché sono libera dentro. Non dobbiamo mai arrenderci a uomini vigliacchi che uccidono nell’ombra. E che, pur di esercitare un potere, fanno una vita difficile, assurda”.

Tra gli anni ’80 e ’90 Letizia Battaglia è stata anche impegnata in politica, col partito dei Verdi. Ma confessa di ricordare con amarezza quella fase della sua vita: “Prendevo tanti soldi e non facevo niente, a mio avviso. Avevo la sensazione che tutto fosse deciso altrove”. Quando parla della sua vita oggi, dice: “Voglio continuare a vivere e a lottare sino a che avrò respiro. Continuo a sentire nella mia testa una potenza, una forza che forse non ho mai avuto. C’è una bellezza anche nell’avere quest’età, sono lucida e non temo neanche la fine”. Infine, a 28 anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, Letizia esprime con commozione il suo rammarico per le foto non fatte, per gli scatti negati a sé stessa per rispetto allora verso lo scempio dei corpi di quei servitori dello Stato per i quali nutriva amicizia e stima: “Però ora che sono passati tanti anni sento che le foto non fatte sono quelle che mi fanno più male. Perché non le ho fatte, mi mancano. È come se così avessi mancato loro di rispetto”.

Aveva tanto insistito per fare una buona foto al giudice Falcone. Ma lui: “Lascia perdere, Letizia… altrimenti mi accusano di protagonismo”. E la bella foto da vivo, a Giovanni Falcone, amico stimatissimo, non riuscì mai a farla. “Una parte della nostra vita è finita, il 23 maggio 1992… Forse non si ha l’idea di quanto noi siciliani amassimo Falcone. Per noi era ed è un eroe moderno. Anche per lui, ancora oggi ho la forza di sognare e immaginare una Sicilia senza la mafia. Vorrei davvero poterla vedere”.

Maria D’Asaro

Già docente e psicopedagogista, dal 2020 giornalista pubblicista. Cura il blog: Mari da solcare
https://maridasolcare.blogspot.com. Ha scritto il libro ‘Una sedia nell’aldilà’ (Diogene Multimedia, Bologna, 2023)

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