MILANO – Il 14 maggio 1995 moriva Domenica Rita Adriana Bertè, in arte Mia Martini, in seguito ad un arresto cardiocircolatorio. Fu trovata a letto con le cuffiette nelle orecchie mentre ascoltava “Luna Rossa” in vista del suo nuovo impegno sul palco del Festival di Napoli, presentato da Mike Bongiorno. La trovarono due giorni dopo che era morta nella sua casa a Cardano Campo (Busto Arsizio): nessuno si era accorto della sua scomparsa. Probabilmente si sentì male e provò a telefonare alla sorella Loredana, ma questa non rispose alle diverse chiamate, raccontò lei stessa i giorni successivi. Se ne andò così, in punta di piedi ed in solitudine una cantante di grande talento, una delle migliori voci della canzone italiana. Fin da piccola le piaceva cantare e di nascosto nella sua camera ascoltava il giradischi ed intonava le canzoni preferite davanti allo specchio con una spazzola per capelli come microfono. Questo faceva arrabbiare suo padre che una sera preso da un accesso d’ira le ruppe il giradischi senza però riuscire a soffocare il suo amore per il canto.
Mimì trascorse i migliori anni della sua giovinezza a cercare di farsi apprezzare da suo padre, ma dovette aspettare molto tempo perché lui capisse il vero talento della figlia, approvandone le scelte. La carriera discografica di Mimì Bertè, così si chiamava, ebbe inizio nel 1962 quando appena quindicenne, incise il suo primo disco “I miei baci non li puoi scordare”, ma il vero primo successo lo ebbe con la canzone “Piccolo uomo” nel 1972 con cui si aggiudicò il Festival Bar. L’anno prima aveva cambiato nome divenendo Mia Martini e non più Mimì Bertè lanciando un brano d’avanguardia dal titolo “Padre davvero” dalle tematiche forti legate ad un rapporto conflittuale col padre, che ben rispecchiava quello che realmente Mimì aveva con suo padre. Lei cercò di spiegare al padre che con quella canzone non voleva attaccarlo né giudicarlo, ma i tempi non erano ancora maturi per un riavvicinamento fra i due. Nella sua carriera di certo pesarono le disavventure giovanili che la videro protagoniste di vicende legate alla droga e addirittura alla reclusione in carcere per 4 mesi. L’invidia per la sua indubbia bravura fecero il resto.
Nel 1972 e 1973 fu vincitrice per ben due volte del Festival Bar con “Piccolo Uomo” di Bruno Lauzi e poi con “Minuetto”di Franco Califano. Nel 1974 la critica europea la premiò come cantante dell’anno. Subito dopo iniziò la triennale collaborazione con Charles Aznavour suggellata nel 1977 da un concerto all’Opera di Parigi. Nel 1978 fu eletta miglior cantante dell’anno. Poi Mimì iniziò ad essere perseguitata dalla fama di portare sfortuna, tutti cominciarono ad evitarla disertando le feste e gli eventi a cui lei prendeva parte. Le fecero in breve tempo terra bruciata, rinfacciandole il suo passato, quello legato alla droga. Furono anni difficili in cui lei prima cercò di reagire, rifiutando di farsi sopraffare, poi finì per isolarsi. Racconterà la stessa Mia Martini durante un’intervista ad una giornalista di “Epoca”, nel 1989, che tutto era iniziato nel 1970 quando, dopo i primi successi, lei aveva osato rifiutare l’offerta da parte di un impresario di un’esclusiva a vita. Questa persona, tempo dopo, in seguito ad un incidente avvenuto con un pulmino durante il rientro da un concerto in cui due ragazzi del suo gruppo persero la vita, le affibbiò il titolo di “porta jella”.
Un primo rientro Mia Martini lo fece nel 1982 a Sanremo, dopo il delicato intervento subito alle corde vocali, con un brano di Ivano Fossati, “E non finisce mica il cielo” che non vinse il festival, ma ricevette il premio della critica, premio creato appositamente per lei. Purtroppo subito dopo ricominciarono le dicerie riguardo alla fama di porta sfortuna che la portarono ad isolarsi completamente. Per cinque anni si ritirò dapprima in Umbria e poi a Bagnara Calabra, suo paese d’origine. Nel 1989 tutto cambiò di nuovo grazie alla grinta di Adriano Aragozzini che riuscì a convincerla a tornare a Sanremo con un brano rimasto nel cassetto per circa vent’anni, “Almeno tu nell’universo” che incantò il pubblico dell’Ariston, compreso suo padre che per l’occasione la raggiunse in camerino prima dell’esibizione abbracciandola con tutto l’affetto di un vero padre. Tornò a Sanremo senza mai vincerlo nel 1990 con ”La nevicata del ’56”e nel 1992 con “Gli Uomini non cambiano”, che pur essendo favorita arrivò seconda. Nel 1993 salì sul palco dell’Ariston con la sorella Loredana Bertè con il brano “Stiamo come stiamo”; fu difficile per entrambe gestire l’evento, litigarono e fecero pace, a memoria del contrasto che è sempre esistito tra le due. Il pubblico continuò ad amare Mia Martini che però restò in disparte fino al giorno della sua prematura scomparsa.
Una donna di grande talento uccisa dalla superstizione e dall’invidia della gente. “Una ragazza un po’ triste, una bambina già grande che giocava alla vita”, come la ricorda Claudio Baglioni. La superstizione è stata più forte del suo talento e non le ha permesso di occupare in vita il posto di valore che meritava. Oggi il pubblico e la critica la ricorda come una donna di grande umanità e talento restituendole, in parte, il prestigio che la sfortuna le ha negato.
Margherita Bonfilio
Nell’immagine di copertina, Mia Martini (a sinistra) con la sorella Loredana Bertè
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