RIETI – Nell’era del digitale, stampare le fotografie è un’abitudine che si sta perdendo sempre di più. Tra social e smartphone, abbiamo gli scatti nel telefono, con la sensazione di averli sempre a portata di mano, senza fissarli su carta. Non a caso, negli ultimi anni, i negozi che si occupavano di sviluppare le fotografie hanno affrontato una durissima crisi che ha costretto molti a chiudere o comunque a riconvertirsi. Fino a qualche anno fa, prima di quella che definiamo l’era del digitale, le foto si conservavano gelosamente nel nostro album, che qualche volta adesso riguardiamo. Album dei nostri genitori, dei nostri nonni, ricordi conservati gelosamente anche nei cassetti o in scatole… E la mente torna a quei momenti che sembrano lontani, molto lontani se calati in questa realtà fatta di “nuvole”, di ricordi conservati in remoti meccanismi.
L’idea di conservare i ricordi di eventi importanti accomuna tutte le famiglie ed è considerata quasi una tradizione ormai consolidata. Le fotografie si amano fin da piccoli e portano sempre con sé tanti significati. I bambini, ad esempio, sono sempre affascinati da questo mezzo che riflette la loro immagine, come a testimonianza, a conferma della propria identità o esistenza, perché in fondo la fotografia permette, a tutte le età, di vedere ed essere visti, notati, osservati. Infatti, quando tra le nostre fotografie ne selezioniamo alcune da mostrare agli altri, spesso scegliamo quelle che ci mostrano come vogliamo essere visti, che rispecchiano cioè l’immagine ideale di noi stessi.
Ma la fotografia è soprattutto una delle maniere migliori per ricordare, perché dà la possibilità di trasformare un’idea in ricordo. E a questo deve aver pensato Brian, un architetto statunitense del Missouri mentre stava facendo dei lavori di ristrutturazione nel suo nuovo studio, situato in un centro commerciale, trovando una pila con centinaia di fotografie ed ingrandimenti appartenenti a clienti del precedente negozio di fotografia che aveva dovuto chiudere per fallimento. Foto scattate durante occasioni importanti (lauree, riunioni di famiglia, compleanni) che i legittimi proprietari non avevano mai potuto ricevere. Il desino di quelle fotografie era la spazzatura e così Brian ha deciso di chiedere il permesso di portare a casa ciò che era rimasto abbandonato nel negozio e, con l’aiuto della sua famiglia, si è messo alla ricerca delle persone ritratte in quelle foto. La sua missione ha già prodotto qualche risultato. A circa una ventina di famiglie ha potuto riconsegnare i loro ricordi e, a suo dire, non ha nessuna intenzione di fermarsi qui.
Stefania Saccone
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