Il silenzio. Il nostro compagno prediletto, almeno fino al 3 maggio. E non perché non ci sia dialogo con le persone che ci sono vicine o comunicazione con chi è fisicamente lontano però ugualmente presente nel nostro cuore (le videochiamate si sono moltiplicate in questo periodo), ma per il semplice fatto che l’isolamento forzato comporta inevitabilmente momenti più o meno lunghi in cui rimaniamo soli con noi stessi. Non è un male, anzi. Ed è una fase alla quale molti di noi erano abituati anche prima, solo che adesso i tempi si sono dilatati secondo gli insegnamenti di Einstein (ma le distanze non si sono affatto contratte…).
Stavolta, però, il silenzio pesa e diventa faticoso, figlio di una condizione che mai avremmo immaginato e che viviamo sospesi tra la speranza di ricevere qualche buona notizia dal bollettino quotidiano che elenca contagiati, guariti e morti, e la voglia di ricominciare, di ripartire, di metterci alle spalle questo brutto periodo e riprendere un’esistenza normale, magari giovandoci degli insegnamenti maturati durante la quarantena.
La fatica del silenzio e la voglia di farcela. Sembra quasi una contraddizione, ma non lo è perché confrontarsi con se stessi non è mai semplice (vengono a galla inevitabilmente gli errori e le omissioni, i rimorsi e i rimpianti, i treni passati e mai presi e quelli afferrati al volo accorgendosi troppo tardi che erano sbagliati…), così come non sarà affatto semplice risalire la china dopo la pandemia. Troppi lutti, troppi senza lavoro (ce n’erano tanti prima, ce ne saranno tantissimi dopo), troppi allo stremo delle forze privati pure del necessario per sopravvivere. Con un’economia fortemente lesionata in tutte le sue fondamenta e con un accumulo di tensioni e preoccupazioni che avranno bisogno di molto tempo prima di potersi dissipare del tutto. Sempre ammesso che il 3 maggio sia la data limite dopo la quale si potrà riprendere a respirare, sia pure con la dovuta e necessaria gradualità.
Già, quando tutto sarà finito (perché prima o poi dovrà finire…), bisognerà rimboccarsi le maniche e tutti insieme remare nella stessa direzione. Senza aspettarsi aiuti da parte di nessuno, anzi con il rischio che dall’esterno arrivino danarosi “imprenditori” (magari anche la criminalità organizzata) pronti a rilevare le nostre aziende più produttive, sborsando una manciata di euro. L’esempio delle Grecia di qualche anno fa ci illumini e ci aiuti ad evitare gli stessi errori. Il silenzio pervade sempre più le nostre strade: niente traffico, niente smog, niente incidenti. E non ci sono più da giorni, almeno nella zona in cui abito, gli appuntamenti pomeridiani con l’inno di Mameli e con qualche popolare canzone. Ci si abitua alla normalità del silenzio. Che fa male, che avvilisce, che demoralizza.
Il silenzio in ogni caso facilita la preghiera, che non è necessariamente di natura religiosa. Si può pregare pure in maniera laica senza bisogno di urlare ai quattro venti la propria fede, tanto più che non è affatto detto che chi urla di più ha ragione. Oggi è Pasqua, una festività cristiana alla quale tutti, sia pure in maniera diversa, siamo legati ed è l’occasione per riscoprire in noi stessi i valori della nostra vita, di chi ci è caro, di chi ci è vicino e di chi è lontano ma solo fisicamente, di chi non c’è più ma rimarrà sempre nei nostri cuori… Proviamo a pregare, ognuno a suo modo e in base alle proprie convinzioni, perché l’epidemia attenui il suo impatto letale così da consentirci di tornare ad un’esistenza vera, seria. Normale, come amiamo ripeterci.
Buona Pasqua.
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