PALERMO – Chi non è proprio ragazzino ricorda ancora quel 6 gennaio 1980, così orribile soprattutto per i siciliani, colpiti al cuore dalla notizia agghiacciante data a pranzo dal TG nazionale: l’assassinio, in viale della Libertà, nel pieno centro di Palermo, del presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, ucciso mentre si recava alla messa dell’Epifania con la moglie Irma, la suocera, i figli Bernardo e Maria. Chi scrive ricorda ancora lo strazio di suo padre, compagno di partito e sincero estimatore del presidente, e prima ancora amico del papà di Piersanti, il ministro Bernardo.
Il pranzo, quel 6 gennaio di quarant’anni fa, fu consumato in fretta e con grande mestizia: non era possibile distogliere il pensiero dall’immagine della Fiat 132 crivellata di colpi e dal corpo martoriato del presidente… Papà, nel pomeriggio, uscì per incontrare alcuni amici del partito e recarsi poi alla camera ardente. Lo sapevano tutti allora a Palermo che l’operazione di riforma, di pulizia, di trasparenza che Mattarella stava portando avanti in Regione, con l’appoggio esterno anche dei comunisti, era davvero difficile da attuare. E non era gradita neppure a quella parte della Democrazia Cristiana così brava a mediare con Cosa Nostra. Lo ha scritto chiaramente d’altronde la Corte di Assise, con la sentenza del 12 aprile 1995 n. 9/95, che ha giudicato gli imputati per l’assassinio di Piersanti Mattarella: “L’istruttoria e il dibattimento hanno dimostrato che l’azione di Piersanti Mattarella voleva bloccare proprio quel perverso circuito (tra mafia e pubblica amministrazione) incidendo così pesantemente proprio su questi illeciti interessi”.
Purtroppo l’assassinio del presidente della Regione Siciliana fu seguito da tanti, troppi altri delitti eccellenti: appena due anni dopo, il 3 settembre 1982, avremmo rivisto le facce smarrite di tanti palermitani onesti, esterrefatti per l’assassinio del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente Domenico Russo. Nel corso degli anni ’80 sarebbero stati trucidati giornalisti, magistrati, imprenditori, commissari di polizia, medici, funzionari regionali… Una lunghissima scia di sangue culminata nel 1992 con le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Oggi, a quarant’anni di distanza dal suo sacrificio, le ripetiamo il nostro grazie, caro onorevole Piersanti. Se, in qualche modo, la Sicilia ha rialzato la testa e ha trovato la forza e l’orgoglio per combattere il dominio violento e nefasto della mafia, lo dobbiamo anche a lei. Che, dalla plaga inaccessibile di un probabile paradiso, speriamo possa almeno gioire per suo fratello Sergio, ormai da qualche anno – con la stima di tutti – presidente della nostra amata Repubblica Italiana.
Maria D’Asaro
Lascia un commento