NAPOLI – “Un periodo storico può essere giudicato dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa… Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente» (A. Gramsci, Quaderni, XXVIII). Gramsci dice il vero eppure sembra un canone della Chiesa cattolica: la grande alternativa per la vita di un uomo e di un popolo è, infatti, tra ideologia e tradizione. L’ideologia nasce in qualsiasi momento come novità che si impone a prescindere dal passato (e questo non può che diventare un’inevitabile possibilità di andare contro il passato). La tradizione è proprio nella eredità del passato che trova certezza per il presente e speranza per il futuro. Chi pretendesse di distruggere il passato per una affermazione presuntuosa di se stesso non amerebbe né l’uomo né la sua ragione. E, infatti, un presente così ridotto finisce in “nulla” (nichilismo), cedendo l’uomo alla tentazione di credere che la realtà non esista. (Don Luigi Giussani).
Per questo io umano che trova in sé, da una parte limiti coi quali è connivente e, dall’altra, quel grido che è nel suo cuore, quell’attesa che è nel suo animo, Dio si è “mosso”, per liberarlo dalla noia di se stesso e dal peso di quel limite che si trova dentro in tutto quello che fa. Ma chi glielo ha fatto fare? E’ il pensiero di molti considerando la concretezza dell’ecclesia come un punto lontano e inutile nella propria vita. La superficialità o l’arroganza del “Ce la faccio da solo” o del “ma a che mi serve? Vivo bene così” viene rotta da un suggerimento di abbraccio denso di significato: si può vivere di più!
Con il Natale si sviluppa la parola “predilezione”, che, nel suo senso etimologico, significa essere amati prima che ce ne accorgiamo, essere amati prima della nostra risposta, quell’essere amati che pone un dato di fatto irreversibile, quell’essere amati che definisce il nostro valore nel mondo. San Bernardo diceva: “In primo luogo, l’uomo ama se stesso per se stesso e non capisce nient’altro che sé, al di fuori di sé; ma quando incomincia a capire che da sé non riesce neanche a sussistere, allora incomincia, attraverso l’indagine e la fede, ad amare Dio come qualcosa di necessario a sé”. Il nesso col Mistero a livello d’esperienza naturale è ancora una nostra azione, qualcosa che parte da noi e al massimo ci possiamo compiacere di queste osservazioni, ma non ci possono dare certezza, pienezza e pace.
L’uomo, pur in questa intuizione, rimane meschino, perché la meschinità è la caratteristica dell’uomo che venga concepito come avente consistenza in se stesso. La meschinità è la brevità della misura. Tant’è vero che questa religiosità naturale pretende da Dio, si lamenta di Dio, e tende a far Dio a sua immagine e somiglianza.
Il Natale è proprio questo annuncio di concretezza, di abbraccio ad una realtà, la nostra, estremamente piegata su se stessa. Eppure basta poco. Basta guardare, in silenzio, la pochezza della nostra consistenza per riscoprire la densità, la ricerca di senso che ogni uomo anela disperatamente e che, continuamente, censura. Il Natale è questa forzatura paradossale a ricentrare il punto vero della questione: ma io basto a me stesso?
Innocenzo Calzone
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