NAPOLI – E’ sempre più incessante il totale disinteresse delle ultime generazioni per il disco classico, LP o CD di penultima generazione sostituiti dalle cosiddette “piattaforme digitali”, ovvero la musica ascoltabile tramite varie applicazioni. La musica, come specchio di una società e di un’epoca riflette la grande crisi sociale che stiamo attraversando. L’aumento sempre più esorbitante di piattaforme “gratuite” che permettono di ingurgitare ogni tipo di “chiassosità”, costringe inesorabilmente a ritornare alla “vecchia” musica che ancora trasmette emozioni d’altro genere.
I dischi di artisti esordienti non si stampano manco più, tanto i ragazzi di oggi non li comprerebbero, visto che ascoltano solo musica “liquida”. L’ascolto e getto impera da diversi anni.
Inizialmente, l’era digitale aveva comportato per i compositori di musica il problema della pirateria, cioè la duplicazione dei cd e dei supporti musicali in genere in modo fuori legge, definito dalle case discografiche come il motivo principale di perdita del mercato e di danno alla musica stessa. Ma non era quello il vero problema. Oggi si è capito, e i musicisti lo pagano sulla propria pelle, che il vero danno sono le minuscole percentuali che colossi dello streaming come Spotify e Apple Music pagano agli artisti per ogni brano ascoltato in streaming. Ma non si ferma qui.
Gli ecosistemi della musica digitale, a partire da iTunes della Apple, hanno ridotto i dischi a un’immagine di copertina di dimensioni da francobollo e a tre dati: artista, titolo del brano, album. Significa che nessuno conoscerà mai i nomi degli orchestrali, ad esempio, e di chi suona in un disco. Anche se nella maggior parte delle applicazioni streaming sono presenti biografie di artisti e compositori, gli album storici vengono venduti e trasmessi in streaming senza i titoli o le note di copertina dell’epoca che apparivano su LP e CD. Gli appassionati autentici di musica sono ormai troppo pochi per giustificare un tale servizio come lo si faceva con arte e passione una volta, ma soprattutto, si perde quella classe di esperti e di scrittori che infondeva entusiasmo nella cultura musicale.
Quanta gente ha avuto la vita cambiata grazie all’esplosione delle radio libere negli anni 80, grazie allo spirito avventuriero di alcune persone che ci hanno mostrato un mondo musicale altrimenti sconosciuto? Stiamo tornando a prima di quel fenomeno, la musica trasmessa è decisa a tavolino per motivi commerciali, le nuove generazioni perdono decenni di storia per una manciata di canzoncine tormentone che spariranno nello spazio di una stagione.
Nell’era dei clic misurati, il gruppo di marketing ha istituzionalizzato la camera dell’eco della musica pop, bloccando e scoraggiando l’impegno significativo verso la musica come forma d’arte.
La musica è stata per decenni promossa e spiegata quasi esclusivamente come un talismano di emozioni. Quelli di noi che hanno conosciuto persone che ci hanno dimostrato che la musica fosse un bene per il cervello e il cuore, sono stati davvero fortunati. Oggi, purtroppo, la musica è solo una esperienza a livello dei sentimenti più banali e preconfezionati usa e getta. Troppo spesso si vedono ragazzi che usano la musica non come mezzo o strumento di apertura verso il mondo ma come tentazione forte di rinchiudersi, per essere preda di quel mondo.
Tornano alla mente i ritorni a Benevento dopo la settimana trascorsa a Napoli come studente della facoltà di Architettura: il venerdì sera e poi il sabato trascorsi sul tavolo da disegno a completare i lavori per gli esami da fare, passati incessantemente ad ascoltare musica. Ancora adesso è facile l’associazione tra un gruppo di LP e gli esami preparati, studiati il fine settimana. Ma cosa trasmettevano certe canzoni, certi assoli? Sicuramente una sintonia, sicuramente una traduzione delle emozioni e anche, allora, una grande compagnia. E’ uno scenario terribile, che coloro che lavorano a livelli diversi in campo musicale hanno capito da tempo, ma che viene censurato e manipolato da chi dalla musica sta cercando di raschiare il barile per motivi economici. Il problema però non è solo economico, è un impoverimento umano delle ultime e prossime generazioni che porterà a un mondo sempre più cinico, misero, disumano.
Sottolineava Shakespeare: “Diffidate dell’uomo che non ama la musica. Egli è come un antro nella notte; dove si annida l’aspide”. E nessuno potrà più dire “la musica mi ha salvato la vita” come cantava Lou Reed.
Innocenzo Calzone
Lascia un commento