ENNA – Ogni anno, dal 3 al 6 febbraio, si svolgono a Catania i festeggiamenti in onore di Sant’Agata. Questa festa, in un misto di devozione e di folklore, attira ogni anno sino a un milione di persone, tra devoti e curiosi, tanto da essere collocata al terzo posto tra le manifestazioni religiose dopo la Settimana santa di Siviglia e il Corpus Domini di Cuzco, in Perù.
Si comincia il 3 febbraio, con l’offerta delle candele (in realtà, ceri alti e pesanti) portati dai fedeli che chiedono protezione alla Santa; i ceri vengono raccolti in processione mentre sfilano due grandi carrozze settecentesche e ben undici “candelore”, enormi ceri rivestiti con decorazioni artigianali, puttini in legno dorato, santi e scene del martirio, fiori e bandiere. Il giorno successivo segna il primo incontro della città con la Patrona. Le strade sin dalle prime ore dell’alba si popolano di “cittadini “, devoti che indossano il tradizionale “sacco”, un camice votivo di tela bianca, stretto in vita da un cordoncino, un berretto di velluto nero e guanti bianchi. Sarebbe questo, secondo alcuni, l’abbigliamento notturno che i catanesi indossavano quando, nel lontano 1126, corsero incontro alle reliquie che Gilberto e Goselmo, due soldati della corte imperiale, riportarono da Costantinopoli. Secondo altri, l’abito di tela bianca è la rivisitazione di una veste liturgica, il berretto nero ricorderebbe la cenere di cui si cospargevano il capo i penitenti e il cordoncino in vita rappresenterebbe il cilicio.
Il busto argenteo della Santa, ornato di gemme, ori, pietre preziose di inestimabile valore, è posto sul “fercolo”, una macchina trainata con due lunghe e robuste funi, lunghe 200 metri, da centinaia di giovani devoti. Le candelore precedono il “fercolo” in processione, perché un tempo, quando mancava l’illuminazione elettrica, avevano la funzione di illuminare il passo ai partecipanti alla processione. Vengono attraversati i luoghi del martirio di Sant’Agata, in fretta, senza soste, quasi a evitare alla Santa il rinnovarsi del triste ricordo. Il “fercolo” (che, vuoto, pesa 17 quintali, ma, appesantito di scrigno, busto e carico di cera, può pesare fino a 30 quintali) è ornato di garofani rossi che simboleggiano il martirio. Durante il percorso si sente spesso gridare: “Cittadini, cittadini, semu tutti devoti tutti, cittadini, viva sant’Agata”, un’osanna che significa anche: “sant’Agata è viva” in mezzo alla folla.
Il 5 febbraio, infine, i garofani rossi vengono sostituiti da quelli bianchi, rappresentanti la purezza; la processione parte dal Duomo, attraversa le vie del centro per poi ritornare al Duomo nella mattinata del 6 febbraio.
Curiosità interessante è che durante la festa di sant’Agata vengono fatti esplodere numerosi fuochi d’artificio i quali, oltre a esprimere la grande gioia dei fedeli, assumono un significato particolare, perché ricordano che la patrona, martirizzata sulla brace, vigila sempre sul fuoco dell’Etna e di tutti gli incendi. Sant’Agata è, infatti, anche la patrona dei pompieri.
Per rivedere il sorridente viso della Santa bisogna aspettare il 17 agosto, per la festa estiva della “SantAituzza”.
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